martedì 3 marzo 2009

Quello che so

(Tragicommedia ambientata nel magico mondo della pubblicità)
Ottava puntata

24.
Quello che so, pagina 15:
Faccio sogni strani, di recente. La notte scorsa nella mia testa c'è un grande banchetto.
Si svolge silenzioso ma molto allegro. Gli invitati si stanno divertendo, mentre sbocconcellano a pezzetti il tumore che esce dal mio stomaco. Qualcuno si occupa di tagliarlo e servirlo ai commensali, che mostrano di apprezzare. Le fette sono morbide e succulente, appoggiate su un letto di pesche caramellate. A vederlo lo scambieresti per fois gras intero, e anche il sapore non dev’essere molto diverso, a giudicare dai mugolii di piacere.
Non ho tanta voglia di assaggiarlo, anche se sono ghiotto di fois gras.
Chissà, forse non è il momento giusto. E poi non c’è nemmeno un calice di sauternes, come si fa?
Ma il tipo che taglia le fette è molto insistente, e se continuo a rifiutare finisce che si offende.
Così lo assaggio, controvoglia e per buona educazione come faccio praticamente tutto nella vita, e dio mi fulmini se non è il più sensazionale fois gras che abbia mai frequentato il mio palato.
Magicamente si materializza anche un calice di sauternes, quindi mentre mi nutro del mio cancro penso: il paradiso esiste.

lunedì 2 marzo 2009

Un mattino

Un mattino, risvegliandosi un po' più tardi del solito, si sorprese nel vedere suo marito sdraiato accanto a lei. Sapendo già quel che non voleva sapere, avvicinò il suo volto a quello di lui, e si mise in ascolto: Giorgio non respirava più. Era morto nel sonno, stupidamente, semplicemente, a neanche quarant’anni. Ci siamo, pensò. Pensò che aveva trascorso metà della sua vita preparandosi a questo evento, e adesso era messa alla prova. Intendiamoci, non che suo marito fosse malato, tutt'altro. Era solo che lei aveva la fissazione della morte, sapeva che prima o poi sarebbe arrivata e non voleva farsi cogliere di sorpresa. Era sempre stata sicura che non sarebbe stata così fortunata da andarsene prima di lui e lasciare che restasse lui a cavarsela da solo. E infatti era stata lungimirante. Eccolo lì, lo stronzo. Il vigliacco, dimostrandosi vigliacco anche stavolta come sempre, se l'era svignata alla chetichella lasciandola in un mare di guai. Ma fortunatamente lei era preparata. La preparazione era cominciata per tempo, molti anni prima. Il principio fondamentale consisteva nel non affezionarsi mai a niente o a nessuno. Era stata la sua educazione religiosa a fortificarla in questo principio, insegnandole a non legarsi ai beni e agli affetti terreni per meglio predisporsi a quelli ultraterreni. Se c'era stato un tempo in cui aveva amato il marito, questo tempo era stato breve, e lei ne aveva perso la memoria. Dal giorno successivo al matrimonio il suo imperativo morale era stato: mai abbandonarsi, mai abbassare le difese, mai far vincere i sentimenti, le passioni, l'irrazionalità. E ancora: sempre pensarsi sola, mai confidare nell'altro, mai immaginarsi parte di qualcosa di più grande, perché tanto poi alla fine, nei momenti che contano, ognuno di noi è solo. La preparazione, ora, stava dando i suoi frutti. Dai suoi occhi, neanche una lacrima. Solo, inaspettatamente, uno stupido senso di vuoto. Allora si sentì tradita. Ma come, pensò, dopo tutta questa fatica per allontanarmi da lui, per ucciderlo molto prima che morisse, cosa c'entra adesso questa vertigine, questo buco alla bocca dello stomaco, questa spossatezza? Sentì improvvisa una gran voglia di andarsene, o meglio fuggire, darsela a gambe. Prese una piccola valigia e ci infilò dentro un paio di mutande, qualche maglietta e dei jeans, si guardò allo specchio ma non si truccò né si pettinò -le sembrava osceno- e uscì, inseguita da quell'immensa voragine nera che si stava aprendo dietro di lei. Guidando troppo velocemente verso l'aeroporto si chiese:
-Avrò chiuso il gas?

L'antipasto di Orlando

Di ritorno dall'isola del Giglio in una splendida giornata di sole pensai che avevo proprio bisogno dell'antipasto di Orlando. Ne seguì un quarto d'ora di ardua riflessione. Guardavo Cinzia che guardava l'orizzonte con lo sguardo beatamente assente negli occhi sereni e innocenti, e pensavo: "Te lo meriti, Cinzia?" Poi, visto che sono sempre stato un giocatore, osai:
"Cinzia, conosci l'antipasto di Orlando?" Non lo conosceva. Costeggiando la passeggiata a mare di Porto S. Stefano, ero distratto e pensieroso. Lei, di ottimo umore e molto loquace, mi domandava continuamente:
"Amore, ma cos'hai?" e non aspettava mai la risposta. Era abbronzata e si era tanto divertita al Giglio. Arrivammo da Orlando, ci accomodammo e ordinammo due antipasti di mare caldi, la specialità della casa. Incautamente mi feci travolgere dall'ottimismo. Presi a descrivere a Cinzia le meraviglie di quello che stavamo per mangiare, le parlai in termini accorati e poetici dei minuscoli moscardini e delle morbide piccole cozze fragranti, le confessai con trasporto che l'antipasto di Orlando era per me un'esperienza mistica prima ancora che un'esperienza culinaria. Lei mi osservava sinceramente divertita. Arrivò l'antipasto. Io lo amai in silenzio, Cinzia lo mangiò lasciando nel piatto alcune cozze e evitando di fare la scarpetta. Infine disse:
"Quanto olio! Troppo unto per i miei gusti." Il resto della conversazione fu piuttosto un soliloquio di Cinzia. Io non dissi più una parola e certamente dovevo apparire molto triste. Più tardi, nel pomeriggio, tornando indietro proposi di fare la strada panoramica. Lei aderì entusiasticamente. In alto fermai la macchina e dissi: godiamoci un po' di panorama.
Mentre Cinzia guardava il mare e le barche e il bellissimo tramonto voltandomi le spalle, io la colpii violentemente alla testa con una pala che avevo preso dal bagagliaio dell'auto. Trascinai il corpo per alcuni metri dietro i cespugli e cominciai a scavare. Il fetore diventò presto insopportabile, e dovetti fermarmi per legarmi un fazzoletto intorno al volto. Quando trovai gli altri cadaveri, presi il corpo di Cinzia e lo gettai nella fossa. Poi richiusi la buca e me ne andai, riflettendo sull'ingratitudine della gente.

Sfumature

Seduti l'uno di fronte all'altra, si guardavano negli occhi e parlavano poco. Il cibo era come sempre ottimo, il ristorante era il loro preferito. Tante altre volte in quel luogo si erano scambiati sguardi d'amore e detti parole d'amore. Improvvisamente il discorso vago e faticoso, che oscillava fra banalità e notizie di scarso interesse, subì una brusca virata quando lei disse:
- Ti vedo assente, e non mi piace.
Il dialogo continuò su questo tono per il resto della serata fino a quando lei disse, facendo attenzione a non drammatizzare troppo questa frase, a non renderla troppo minacciosa:
-Sarei capace di accettare qualsiasi cosa da te, qualsiasi tuo umore nero o qualunque silenzio, se almeno sapessi che tu mi ami, se ne avessi la certezza.
E subito cambiò discorso, con nochalance, per non metterlo in difficoltà. Ma avrebbe tanto voluto che lui cogliesse l'occasione per dirle: Sì, ti amo oppure Lo sai che ti amo, sciocchina, o qualsiasi altra stronzata del genere. Ma lui non colse l'occasione e rimase in silenzio. Lui la guardava, e sentiva che lei era qualcosa di meraviglioso, il più bel dono che la vita potesse fargli, sentiva di non meritare tanta fortuna, e provava affetto e tenerezza infinita per quella donna serena e sincera che aveva davanti. Lui avrebbe tanto voluto dirle, come le aveva detto tante volte in passato: Lo sai che ti amo sciocchina. Ma semplicemente non ci riuscì, e le parole rimasero chiuse dentro di lui. Di ritorno dal ristorante furono molto silenziosi, e per la prima volta da tanto tempo evitarono di guardarsi negli occhi.