sabato 18 aprile 2009

1943 (revisited)


Porto il nome di uno zio partigiano, morto in un campo di concentramento durante l’ultima guerra.
Non l’ho mai conosciuto, e di questa cosa conservo una memoria vaga e sempre più lontana.
Quando morirò, questa cosa semplicemente non esisterà più.

giovedì 16 aprile 2009

Chiamo da fuori

Anche se gli stava telefonando da sotto casa, sentiva che la distanza tra loro era ormai incolmabile. Vide la luce accendersi, poi la voce di lui, assonnata e bassa e così sensuale di quando si svegliava, parlò all'altro capo della linea:
-Sì?
-Ti lascio, Andrea. Anzi, ti ho già lasciato.
-Cos'è, uno scherzo? Dove sei, perché non sei qui vicina a me?
-Non importa dove sono. Sono lontana, in un'altra città.
-Però, ti sento vicinissima…come fossi dietro l’angolo… la interruppe lui.
-Quello che importa è che non voglio più vivere con te. Lo capisci questo?
-No che non lo capisco. Non capisco più niente, mi sembra un incubo. Ma ti pare che ne dobbiamo parlare per telefono? Torna a casa e discutiamone con calma.
-Io non voglio discutere! Volevo solo informarti! La voce di lei era rabbiosa.
-Ma quando l'hai presa questa decisione?
-Ieri pomeriggio. Sono venuta a casa mentre tu non c'eri, ho fatto la valigia e sono andata all'aeroporto, mentì lei.
-Allora quando mi hai chiamato dicendo che stavi fuori a cena e tornavi tardi, eri già partita.
-Partita e arrivata. (Altra bugìa, ma a fin di bene).
-Arrivata dove?
-Ma che cazzo te ne frega, insomma! Stava perdendo la pazienza. "Adesso riattacco", pensò. Ma non lo fece.
-Dai, su, non ti arrabbiare, micina, disse lui con la sua voce più vellutata.
-Senti, non possiamo riprovarci? Non mi vuoi dare un'ultima chance? Ti giuro che farò del mio meglio per non deluderti mai più.
-Vaffanculo. Ti odio!
-Ma cos'avrò fatto mai per meritarmi tutto questo odio? Forse la tattica vittimista poteva dare qualche risultato.
-Più di questo non ti posso dire: riconosco i miei errori, ti chiedo perdono e ti amo infinitamente. Dammi l'ultima possibilità per dimostrartelo.
-No.
-Ti prego ti prego ti prego!
-L'ultima?
-L'ultima.
-E va bene.
-Allora torni?
-Torno, disse lei svogliatamente.
-Quanto ci metti? Un paio d'ore? La voce di lui era completamente cambiata. Così fredda, sicura, distante che se uno non lo conosceva poteva anche pensare che si trattasse di un'altra persona.
-Neanche per idea. Non ho più un soldo e ho dimenticato la carta di credito a casa. Non potrò prendere l'aereo. Mi toccherà tornare in treno, forse, oppure fare l'autostop. Arrivo in serata, più probabilmente domani mattina.
-Non farmi aspettare troppo.
Lui riagganciò senza salutare, e lei vide la luce in camera da letto che si spegneva. "Quel porco si rimette a dormire", pensò.
Lanciò il cellulare oltre la siepe del parco, dentro la fontana dei pesci rossi. Poi dovette trattenersi per non correre a riprenderlo.
Quasi senza volerlo, si rese conto che in fondo l'aveva sempre saputo che non avrebbe avuto il coraggio di lasciarlo, quel porco, e si congratulò con se stessa per avergli raccontato quella piccola bugìa, che le concedeva una giornata di libertà, una giornata tutta sua.

Quello che so

Quattordicesima puntata

35.
E’ notte fonda. La sede dell’agenzia di pubblicità Altoprofilo è deserta, dopo che anche l’ultimo giovane borsista, sottopagato sfruttato e maltrattato, alla fine del suo lavoro estenuante e con gli occhi che gli fanno male per lo sforzo, ha lasciato l’agenzia per tornarsene a casa e buttarsi in branda per un paio d’ore.
E’ questo il momento in cui il pesce pulitore entra in azione, quando il resto del mondo dorme. Attraversa il corridoio silenzioso tenendosi molto vicino alle pareti, perché sa esattamente dove sono situate le telecamere. Passa davanti ai cessi, supera l’angolo e affronta l’ultimo lungo corridoio che conduce al grande ufficio del direttore creativo.
L’arredamento non è cambiato, perché Antonio U. non ha avuto il coraggio di farlo cambiare. “Che lurido codardo”, pensa il pesce pulitore.
“Ma questo torna a mio vantaggio”.
La traccia lasciata dal corpo di Francesco M. è quasi totalmente scomparsa, e comunque nell’oscurità sarebbe impossibile individuarla, ma il pesce pulitore la vede con gli occhi della mente, e volta lo sguardo da un'altra parte.
Gli interessano le cassettiere. Metodicamente le apre una ad una, illuminandone il contenuto con una piccola ma potentissima torcia. Non ha fretta, può cercare con calma. Ogni volta che finisce di rovistare in un cassetto rimette tutto a posto con estrema attenzione, poi passa al successivo. Ha quasi finito di passare in rassegna la prima fila di cassetti quando si blocca, e resta immobile. Poi volta la testa lentamente e guarda con attenzione verso la libreria dalla parte opposta della stanza. O meglio, lo sguardo è diretto là, ma al tempo stesso i suoi occhi sono persi nel nulla. Improvvisamente si alza e si dirige a passo spedito verso la libreria. Da uno degli scaffali comincia a buttare giù tutti i libri, ora con foga impaziente. Ne trova uno, si ferma a guardarlo con il fiato sospeso. Sulla copertina è scritto in grande il titolo del volume: Top Performance.
Il pesce pulitore non riesce a evitare che gli sfugga un sorriso. “Sempre ironico, eh, vecchio stronzo?” Non si dà neanche pena di sfogliare il libro che ha in mano, perché sa che quello che cerca è lì dentro.

36.
Quello che so, pagina 30:
“E’ meglio che io cominci a prepararmi alla morte. Ormai sono sicuro che non manca molto. Per esempio: quando mi uccideranno, perché so che prima o poi mi uccideranno, so come dovrà suonare l’epigrafe perfettamente adeguata al mio personaggio. Eccola: la mia dipartita da questa valle di lacrime si trasfigurerà in un estatico trionfo di candore. Graziosa, no?”

37.
In fondo Francesco M. era un burlone.
Il dott. Moiano se lo immaginava mentre cercava parole pomposamente vacue per continuare, anche dopo la morte, a recitare la parte del pallone gonfiato pieno di sé, il tipo sociale antropologicamente più diffuso nell’ambiente della pubblicità, a quanto pareva.

Chicago Memorial