giovedì 26 marzo 2009

Quello che so

(dodicesima puntata)


32.
“Signor U., perché mi ha chiesto questo incontro?”
Antonio U. era molto agitato, e quando era agitato sudava sempre copiosamente. Uno spettacolo disgustoso, pensò il dott. Moiano.
Antonio U. si trovava nel suo ufficio da più di mezz’ora e lui non aveva ancora capito che cosa volesse.
“Lei lo sa, vostro onore…”
“Non sono un “vostro onore”, la prego.”
“Come devo chiamarla, allora?” Piagnucolò Antonio U.
“Non è necessario che mi chiami, venga al punto per cortesia.”
Calogero Moiano si stava innervosendo. In più, la stanza cominciava pesantemente a puzzare di ascelle sudate.
“Sì ma così mi rende ancora più nervoso di quello che sono…”
(Perlamordiddìo, pensò Moiano, siamo già al limite. Ancora un po’ di nervosismo e ci servirà il salvagente).
“Le ripeto che è stato lei a chiedere questo incontro. Se non ha niente da dirmi vuol dire che stiamo perdendo tempo tutti e due.”
“Va bene, va bene… lei lo sa che da qualche tempo sono diventato il direttore creativo della Altoprofilo, vero?”
“Già, loro non hanno perso tempo.”
Antonio U. decise di non cogliere l’ironia della notazione, e proseguì come se Calogero Moiano non avesse parlato.
“Io ho cercato di farmi rispettare, di far capire fin da subito a tutti chi era il più tosto. Sa, in certi ambienti bisogna fare così, se non si vuole essere divorati.”
Il dott. Moiano continuava ad annuire, ma non stava realmente ascoltando. La solita palla che sono gli altri a volermi così, io in realtà sono un bravo ragazzo, tutta colpa della società. Questa roba non era del minimo interesse, per lui.
“Lei lo sa come mi chiamano, nell’ambiente…sì, insomma, il soprannome che mi hanno dato.”
Come no? Il Giuda. Carino, in fondo. Anche dotato di una sua grandezza tragica. Te lo meriti, omuncolo puzzone?
“No, non lo so, me lo dica lei.”
“Una cosa infamante, mi chiamano Il Giuda. A me, che non ho mai tradito nessuno in vita mia, che sono sempre stato leale con tutti, ricevendone in cambio innumerevoli pugnalate alle spalle…”
“Le dispiacerebbe arrivare al punto?”
“Beh, il punto è che quello è il mio soprannome “ufficiale”, diciamo così, ma poi ce n’è una serie anche di più segreti e nascosti…sembra che lo sport ufficiale qui a Milano sia la gara a chi trova il soprannome più spregevole per chiunque altro, in particolar modo per i professionisti che hanno avuto sempre come loro unico scopo quello di svolgere onestamente il loro lavoro…”
A questo punto il dott. Moiano si alzò in piedi. Aveva deciso che quell’incontro era finito. Ma Antonio U. continuò a parlare, ora con molta foga.
“…Uno dei più grandi inventori di soprannomi lo sa chi era? Proprio Francesco. Ne sfornava in continuazione, e ce n’era per tutti. In questo era imbattibile…
Gli occhi di Antonio U. si muovevano veloci per la stanza, senza rimanere fissi in alcun luogo per più di un istante. Accompagnò la pausa con un sospirò, poi continuò.
“Per esempio, recentemente ho scoperto che ne aveva inventato uno nuovo nuovo, da quando aveva avuto problemi con il suo acquario…Ma sono sicuro che questo non era stato pensato per me…perché mi guarda in quel modo?”
Il magistrato, che aveva già indossato il cappotto, se lo tolse rapidamente e lo riappese all’attaccapanni. Ora guardava Antonio U. con interesse, cercando vanamente di cogliere il suo sguardo.
“Continui, la prego.”
“Lei la sa la storia del Pesce Pulitore?”
Calogero Moiano decise di stare al gioco.
“No, non la so, me la racconti lei.”
“Insomma, sembra che ci sia un pesce, chiamato il Pesce Pulitore appunto, che inizialmente pulisce le pareti dell’acquario con delle specie di ventose che ha sulla pancia, e che poi gradualmente si trasforma in una specie di…cannibale, cibandosi di tutti gli altri pesci dell’acquario, finché non rimane da solo. Insomma, pare che Francesco negli ultimi tempi usasse spesso questo appellativo infamante per definire qualcuno.”
Infamante ma più pertinente di Giuda, direi. Pensò Moiano.
“Perché crede che non fosse rivolto a lei, anzi ne è sicuro? E perché mi sta raccontando tutto questo?”
“E’ strano che mi faccia questa domanda…perché io lo so di non essere il Pesce Pulitore, ma qualcuno potrebbe averle raccontato qualcosa di diverso. L’altro giorno per esempio un giovane creativo in procinto di lasciare l’agenzia, un certo Massimo Serafini, mi ha detto precisamente questa frase: ”Ora finalmente capisco chi era il Pesce Pulitore.”
“Secondo lei l’ha immaginato da solo conoscendola, diciamo così, o può averlo sentito dire da Francesco M.?”
Antonio U. per la prima volta fissò i suoi occhi in quelli di Calogero Moiano.
“Da Francesco non può averlo sentito dire. Per il semplice motivo che il Pesce Pulitore non sono io.”
Il magistrato rimase in silenzio, continuando a chiedersi il motivo per il quale quel tizio gli avesse raccontato questa cosa proprio adesso. Avrà letto il diario di Francesco M.?
“Perché è venuto qui, signor U.?”
Antonio U. sfidava lo sguardo del magistrato, e sembrava aver completamente ripreso il controllo. Alzò le spalle.
“Niente. Volevo solo dirle di non dare credito a tutto quello che le dicono. E’ un ambiente di vipere, altro che Pesce Pulitore. Io non ho mai tramato contro Francesco. Io non l’ho ucciso. Gli volevo bene.”
“Grazie di essere venuto. Arrivederci.”

lunedì 23 marzo 2009

Quello che so

(Tragicommedia ambientata nel magico mondo della pubblicità)
Undicesima puntata


30.
Pendeva dal ramo del platano più grande in cima alla collina. Aveva scelto quel posto perché era un posto che lo aveva sempre messo di buonumore, una volta. A pochi metri dall’albero c’era la casa. La loro casa, il loro rifugio, la loro via di fuga. Ricostruita solo a metà. Loro non avevano fatto in tempo a vederla finita, e non l’avrebbe vista finita neanche lui.
Roberto Benati aveva finalmente elaborato il proprio lutto. Roberto Benati si era liberato di tutti i suoi bagagli.

31.
Troppi moventi e nessuna spiegazione. Nessun senso. Nemmeno la lettura del diario di Francesco M. lo stava aiutando ad avvicinarsi alla soluzione del caso. Lo stava aiutando a capire quell’uomo che inizialmente aveva disprezzato, e forse questa era una parte dell’avvicinamento alla verità. Francesco M. sembrava capire qualcosa della sua vita che nessun altro sospettava. Ma nel suo diario sollevava più domande di quante risposte riuscisse a dare, o avesse voglia di dare. Il dottor Calogero Moiano prese una penna, un foglio di carta e una sigaretta. Ordinò un aperitivo e provò a scrivere un elenco di domande senza risposta. Sapeva che sarebbe stato probabilmente molto frustrante, ma ci provò lo stesso.
1. A cosa voleva provare a rimediare? E cosa voleva dire “Lo so io, vedrai”, la frase detta a Roberto Benati?
2. Chi è il pesce pulitore?
3. Chi sono quelli che hanno rubato il sogno di Francesco M? Chi sono quelli che devono pagare?
4. E a che tipo di pagamento si riferisce? In denaro, o un risarcimento morale? Forse vendetta?
5. …
Il telefono cellulare del dottor Moiano squillò, facendolo come al solito sussultare. Odiava quell’affare, anche se non poteva ormai farne a meno. Sul display c’era il numero dell’ufficio, e lui rispose in modo brusco:
“Spero che sia qualcosa di urgente, avevo detto di non disturbarmi.”
“E’ per via di quel signore che ha incontrato stamattina, dottore. Roberto Benati, se lo ricorda.”
“Certo che me lo ricordo, e allora?” Sapeva già quello che stavano per dirgli, e aveva già cominciato a darsi del coglione.
“E’ morto, dottore.”
“Come?”
“Impiccato. L’hanno trovato appeso a un albero su un terreno di sua proprietà nel territorio del comune di Nibbiano, in provincia di Piacenza. Sembrerebbe proprio un suicidio, dottore.”
“Ho capito. Ci vediamo in ufficio tra poco.”
Camminando verso il tribunale si sentiva sopra le spalle almeno dieci anni di più, e vedendolo camminare improvvisamente così curvo quei dieci anni li avreste visti anche voi. Il suo cervello gli inviava continuamente lo stesso pensiero, come in una loop abbandonata: ‘Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo? Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo? Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo? Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo?’