mercoledì 29 aprile 2009

Communication breakdown

Marco e Lorenzo erano imbarazzati. Dopo tutto quel tempo avevano perso l’abituale dimestichezza reciproca.
Marco trovava Lorenzo un po’ stempiato. Lorenzo trovava Marco un po’ appesantito. Rimasero qualche minuto in silenzio, facendo finta di guardare il menu dei cocktails.
Fu Marco a parlare per primo:
-Qui chi ci capisce è bravo.
-Mah, io tanto prendo un Negroni.
-Martini cocktail, per me, disse Marco al cameriere. Così ora non avevano più alibi.
-Quanto tempo è passato? Quattro anni? disse Lorenzo.
-Più di quattro e mezzo, quasi cinque.
-Già...
Ci fu un altro lungo intervallo di silenzio. La conversazione era molto faticosa, e come si dice stentava a decollare. Nessuno dei due d’altra parte sembrava particolarmente interessato a vederla decollare.
-Com'è quella cosa? I veri amici si riconoscono nel momento del bisogno.
Lorenzo fissò Marco negli occhi.
-Forse l’aggettivo non c’è. Non ce n’è bisogno. Comunque sì, è proprio così.
-Perché non mi hai risposto?
-Di che cazzo parli?
-Lo sai benissimo di che cazzo parlo. Io ti ho chiesto aiuto, Lorenzo.
-E io ti ho risposto di sì, ti ho detto che ero a tua disposizione. Non fare il furbo.
-Sei tu che stai facendo il furbo. Ma io mi alzo e me ne vado. Per me possono passare altri cinque anni.
-Anche dieci. Fai un po’ come cazzo ti pare.
Marco, che aveva fatto il gesto di alzarsi, si rimise a sedere. Si piegò sul tavolino sporgendosi verso l’ex amico. La fatica di parlare sottovoce mentre aveva voglia di urlare lo stava rendendo paonazzo. Sputacchiava anche un po’.
-Falla finita! Non mi hai mai risposto, cazzo! Più di un mese e mezzo sono stato ad aspettare la tua cazzo di risposta! Ogni cazzo di giorno aprivo la mail e rimanevo lì come uno stronzo a guardare il niente. Ogni cazzo di giorno per un mese e mezzo ho guardato il telefono per vedere se mi mandavi un cazzo di sms, se c’era una cazzo di chiamata non risposta o un cazzo di messaggio nella segreteria, per cui per favore fammi il cazzo di favore di risparmiarmi almeno questa umiliazione, cazzo!
-Senti Marco, vaffanculo, non parlare a me della tua umiliazione. Io cosa dovrei dire, allora, che mi sono messo a tua disposizione e poi non ho più saputo niente di te? Cos’è, il mio aiuto non ti andava bene, non era sufficiente per te? Cercavi qualcos’altro? Qualcosa di diverso? Qualcosa che ti poteva arrivare dai tuoi nuovi cazzo di amici di Facebook?
Marco fece una strana espressione.
-Dove mi hai risposto?
-Cioè?
-Hai fatto reply alla mia mail, o cosa?
-E chi se lo ricorda…No, mi sembra di averti mandato una mail su Facebook. Ci passavi le giornate, ho pensato che fosse il modo più veloce per risponderti.
Marco si appoggiò allo schienale della sedia. Ora non era più rosso. Ora era pallido.
-Mi ero rotto i coglioni, di Facebook. Improvvisamente mi sembrava tutto così…finto. Ho smesso di andarci. Poi dopo un po’ ho cancellato il mio account.
-Io non ho mai capito cosa ci trovassi, in Facebook. E’ una stronzata.
-Ci sono momenti in cui anche un’imitazione di amicizia è meglio di niente.
-Comunque non mi freghi. Quando ti arriva un messaggio su Facebook non ti arriva anche la notifica sulla mail?
-L’indirizzo mail a cui arrivava la notifica mi dava dei problemi. L'ho cambiato.
-E Myspace, e LinkedIn?
-Mi sono tirato fuori da tutti questi cazzo di social network. Erano diventati una specie di ossessione. Potevi telefonarmi però, Lorenzo. Ho dormito con il telefono sotto il cuscino per più di un mese, prima di buttarlo nel Naviglio Grande.
-Cazzo se ti ho chiamato! Ti avrò chiamato due o trecento volte, ho lasciato messaggi su messaggi. Poi francamente mi sono rotto i coglioni. Ho pensato che se non volevi il mio aiuto non te lo meritavi.
Marco ormai parlava con un filo di voce:
-A quale numero mi hai chiamato?
-Al tuo solito numero, quello dove ti ho chiamato oggi per metterci d’accordo sull’appuntamento.
-Quando mi hanno mandato via quel numero è stato disattivato, ed è rimasto inattivo per un paio di settimane. Poi l’ho riattivato facendo un contratto a mio nome.
-E tu, Marco, perché non mi hai chiamato?
-Ero ferito. Arrabbiato. Ti volevo vedere morto. Come potevo chiamarti dopo che mi avevi trattato in quel modo? Io ti chiedo aiuto in un momento faticoso della mia vita e tu non mi degni neanche di una risposta.
Arrivarono i cocktail. Marco e Lorenzo li bevvero velocemente senza parlare. Poi si alzarono e si diedero la mano. Peccato per gli stuzzichini, che in quel bar erano davvero ottimi.

Chi è chi

“Raccontami tutto. Non ho niente da raccontare. Invece sì, sono sicuro che, se vuoi, qualcosa da raccontare lo trovi. Va bene, è solo che non so da che parte cominciare. Comincia dalla fine: stai ancora bene con me? Questa è la cosa più difficile da dire. Difficile, che stronzata. Non ti ho mica chiesto: mi ami? E neanche la versione meno compromettente: mi vuoi bene? Allora c'è da rispondere: ti voglio (tanto, tantissimo, un sacco di, un mondo di) bene. Ti ho chiesto invece una cosa più piccola, concreta. Sicuro, sicuro, troppo. E per te sarebbe una domanda facile? Cosa vuol dire: stai ancora bene con me? Io non sto bene. Con te o senza di te. Niente furbizia per piacere. Forse è meglio lasciar perdere, fermarci qui. Neanche per idea. E allora lasciami parlare senza fare del sarcasmo gratuito. Non faccio del sarcasmo, solo vorrei che non eludessi il problema. Hai capito benissimo cosa ti ho chiesto. Nemmeno io sto bene. Però voglio sapere: ti faccio ridere, ti faccio godere, ti faccio dormire, ti faccio tristezza, ti faccio pensare? Dipende. No che non dipende. Invece sì, e tu lo sai benissimo. Perché tu sei il primo a mettere il proprio umore in cima a tutto il resto. Può darsi, ma non lo accetto. Ah, non lo accetti? Puoi dispensare gioia o dolore a seconda dei tuoi movimenti peristaltici ma non ne accetti le conseguenze. Non accetti che la vita possa essere governata da una legge così brutale, vero? Ma è proprio così. Ieri mi facevi ridere. Ieri mi facevi godere. Oggi no. Domani chi lo sa? O meglio ancora. Dieci minuti fa mi divertivi. Ora mi annoi. Ma fra dieci minuti? Adesso sei tu che mi annoi. Ne ero sicura. Sono io, ma è difficile ammetterlo. Guarda che non è la prima volta che succede. E' banale. Non ho mai preteso di essere eccezionale. Falso. E anche banale. E anche un po' meschino. Oh no, ancora una volta qui. Ancora una volta alla fine del giro, a rifare il biglietto per un'altra corsa. Ma il biglietto costa sempre più caro. Non fare il melodrammatico. Non ti consolerò per il dolore di avermi lasciato. Solo adesso mi rendo conto di quanto ho bisogno di te. Solo adesso mi rendo conto di quanto ti ho sopravvalutato, ma più che per un mio errore di valutazione, proprio per la tua capacità di fingere. Così bene da ingannare anche te stesso. E questa è l'unica attenuante che riesco a concederti. A concedermi. Non mi lasciare. Non mi seccare. Sei tu che mi lasci, stronzo. Fottiti.”

lunedì 27 aprile 2009

Il tempo ritrovato

Un giorno andai a trovare Anna, verso la fine di giugno. Era stanca ma di buon umore. Aveva già provato tutto, e sembrava sollevata dal fatto di non aver lasciato niente di intentato: i raggi, la chimica, i viaggi della speranza.
Diceva:
-La coscienza ce l'ho a posto. Almeno quella.
In quel periodo leggeva moltissimo e non usciva quasi più. Mi raccontò che aveva avuto per tanti anni nella libreria i sette volumi della Ricerca di Proust, Einaudi Editore, collana Gli Struzzi, la stessa edizione che avevo a casa io, e che non aveva mai avuto il coraggio di affrontarli.
-Dillo a me, quelli mi fissano ogni mattina solo per farmi sentire in colpa.
Ma ora quel coraggio l'aveva trovato, e si era buttata a capofitto in quell'impresa così impegnativa. Fra una chiacchiera e l'altra, quasi casualmente, quel pomeriggio mi disse sorridendo:
-Chissà se ce la farò a finirlo.
Lo disse con leggerezza, come avrei potuto dirlo io, con un riferimento alla mia pigrizia e alla rottura di palle per un libro che non finisce mai.
Non abbiamo mai parlato della morte, né mai pronunciato la parola cancro. Però stranamente non mi sembrava che ci fosse reticenza fra noi. Semplicemente, non era necessario essere brutali. Sulla porta mi disse:
-Abbracciami.
Portava sempre dei maglioni enormi perché aveva sempre freddo. Così prima di quel momento non avevo mai capito quanto fosse dimagrita.
Tre mesi dopo sua sorella mi diede una busta. Dentro c’era un foglio del suo bloc notes.
Lessi:
“Non ci crederai, ma ce l'ho fatta.
Te lo consiglio.
Ricordati di me.
Anna.”