martedì 12 maggio 2009

Sigla

Laura uscì di corsa dal palazzone grigio dove era stata sostituita al microfono da Cinzia. Le facevano un po' male le orecchie, più che altro le ronzavano, come ogni volta alla fine del suo turno. Poi: le bruciava la gola, aveva una leggera fitta che le percorreva tutta la schiena e si sentiva le natiche indolenzite. Ma siccome era una persona semplice e ottimista, decise di fare quattro passi nell'aria frizzante dell'alba. Il turno di notte allo 06 3570 era quello che le piaceva di più, anzi aveva una vera passione per il turno di notte, odiato da tutte le altre colleghe. Il fatto era che spesso, nel suo grande letto solitario, sotto la grande trapunta a fiori che le aveva regalato sua madre, Laura soffriva di insonnia, e alla fine, dopo aver guardato l'ennesimo DVD e finito l'ennesimo giallo, si ritrovava a chiedersi perché quel grande letto era sempre così solitario.
Lì in centrale, invece, la notte passava dolce e rilassata. La tensione del giorno si scioglieva lentamente, il traffico si diradava pian piano, le chiamate diventavano più rare e tranquille. Laura amava chiacchierare un po' con i colleghi attraverso la radio, scambiare impressioni e battute superando l'abituale freddezza e impersonalità che i ritmi del giorno imponevano. Di giorno quasi odiava la sua voce, le sembrava di essere capace soltanto di ripetere all'infinito quell'unica parola, "Sigla", "Sigla", "Sigla", nella continua ricerca di qualcuno che all'altro capo del filo si degnasse di rispondere Modena 6 o Genova 15 e la sollevasse un attimo da quell'ansia nella quale ripiombava un secondo dopo. Le sembrava anche una metafora un po' crudele della sua vita, spesa in quell'isterico lanciare domande verso il mondo, domande che ottenevano raramente risposta. La notte invece erano spesso i colleghi che la chiamavano, la cercavano, dimostravano di avere voglia e piacere di scambiare due parole con lei, così, tanto per passare il tempo. E lei li amava tutti e si sentiva meno sola, e le bastava questo per non pensare al suo letto vuoto e ritrovarsi a sorridere.
Così si sentiva quella mattina, leggera e allegra con tutti i suoi acciacchi, e così piacevolmente stanca che era sicura di addormentarsi come un sasso appena si fosse sdraiata sul letto. Prometteva di essere una bella giornata di sole, l'aria stava cambiando lentamente colore, da nero a grigio, da grigio a rosa, mentre la nebbia si alzava. Laura ormai era vicina a casa, e camminava senza fretta e senza difese. Così, quando si trovò improvvisamente davanti quell'uomo che la afferrò e la spinse violentemente nell’ombra di un vicolo, fu talmente sorpresa che rimase completamente senza parole.
E questo, come vedremo, la salvò.
-Se dici una parola sei morta, puttana! sibilò l'uomo nel suo orecchio, e lei provò un brivido di raccapriccio. Era confusa e terrorizzata, ma non solo per quello che le stava accadendo: c'era qualcos'altro che Laura non riusciva a capire. L'uomo tirò fuori dalla tasca un grosso coltello a serramanico e lo aprì, mostrandole la lama affilatissima. Parlò ancora, con voce più calma, reso sicuro nel vedere che Laura seguiva le sue istruzioni e non accennava ad aprire bocca.
-Brava, puttanella, continua così e vedrai che andremo d'accordo, e forse se non fai scherzi porterai a casa la pelle.
Tagliò accuratamente la camicia di Laura, il reggiseno, le strappò la gonna e le tirò via le mutande. Poi la buttò per terra e le allargò le gambe. Laura restò in silenzio mentre le lacrime scendevano dalle sue guance, e da un angolo del suo cervello arrivava l'informazione, ancora incerta nei confini, di quanto fosse fondamentale in quel momento mantenere il silenzio. L'uomo invece era molto loquace e diceva "Fammi godere puttana" o "Quanto sei bella" e grugniva e sospirava pesantemente.
Finalmente, quando l'uomo cominciò a venire dentro di lei, Laura sentì il pensiero, ora pienamente formato, emergere come un fulmine dalle profondità della memoria, volare leggero verso la superficie della mente, per poi imporsi in tutta la sua luminosa chiarezza. E il pensiero le stava comunicando: “Padova 9. Questa è la voce di Padova 9. Non ci sono dubbi.”