lunedì 22 settembre 2008

Quello che so

(Tragicommedia ambientata nel magico mondo della pubblicità)
Seconda Puntata


4.
Movente numero 1: le donne.
Chiamatelo tombeur de femmes, chiamatelo puttaniere, chiamatelo molestatore, insomma chiamatelo come vi pare ma avete capito di cosa stiamo parlando. Quando era un ragazzo aveva una sana ossessione per la fica, e un’altrettanto ossessiva mancanza di scrupoli, ma non era ancora per lui, o almeno non interamente, una questione di potere. Quando cominciò la scalata, cominciò anche a cambiare il suo rapporto con le donne. Scoprì ben presto che non si divertiva più tanto a scoparle, quanto piuttosto a conquistarle, meglio ancora a possederle. Per poi naturalmente esibirle come trofei. Tutto il bello stava in questo, in quel momento prezioso in cui poteva finalmente vantarsi delle sue conquiste con il mondo intero.
Infine, in un gioco sempre più sfrenato di scollamento tra realtà e fantasia, verità e finzione, arrivò anche il momento in cui cominciò a vantarsi di conquiste inesistenti, puramente fittizie, e quanto più le donne rifiutavano le sue avances sempre più pesanti e volgari, tanto più lui raccontava di essere un perseguitato e che doveva fuggire lui alle avances di frotte di femmine infoiate. Le più fortunate potevano semplicemente tirargli un manrovescio e mandarlo in culo, ma lui si divertiva di più con quelle sfortunate. Vale a dire, con quelle che non potevano sfuggirgli, quelle sulle quali esercitava un potere: le sue sottoposte. Fossimo stati in America, Francesco M. sarebbe stato accusato di sexual harassment e probabilmente processato, quasi sicuramente licenziato. Se questo è il movente della sua morte, dobbiamo concludere che a quest’ora, se fossimo stati in America, Francesco M. sarebbe indigente e scornato, ma vivo.
Invece non siamo in America ma in Italia, e questo tipo di cose non vengono punite, siamo più lassisti e meno bacchettoni, e il risultato è che Francesco M. non più di quarantottore fa è stato ritrovato sdraiato supino sul suo splendido tavolo bianco con le viscere lucenti che arrivavano fino a terra, e aveva già cominciato a puzzare. Ironia della sorte.
Ma non sappiamo se questo è il movente.

5.
Movente numero 2: i soldi.
Per far fronte ai debiti sempre più grossi che la sua vita in corsia di sorpasso gli aveva procurato, Francesco M. decise di farsi corrompere. Niente di più facile. Ostacoli morali non ne aveva, ma qualora ne avesse avuti sarebbe bastato ricordare a se stesso che nel suo mondo facevano tutti così, e gli ostacoli si sarebbero immediatamente liquefatti. Come si potevano se no spiegare le ville al mare e in montagna che tutti i manager e i direttori creativi delle agenzie di pubblicità si erano costruiti in pochi anni, forse con gli stipendi? Andiamo, chi sono io? L’unico tonno in un mare popolato di squali?
Ma, come dicevamo prima, Francesco M. da perfetto eroe dei nostri tempi era un uomo per il quale le preoccupazioni di ordine morale erano una insopportabile zavorra, lacci e lacciuoli, pastoie burocratiche, Roma ladrona. Così fece trapelare cautamente ma con chiarezza nell’ambiente delle case di produzione cinematografica, le strutture che realizzano gli spot pubblicitari, il messaggio che lui sarebbe stato disposto a farsi ‘ungere’. Il meccanismo era semplice: ogni volta che una idea di campagna pubblicitaria viene approvata dal cliente, bisognava a quel punto realizzare lo spot. A questo punto viene aperta una gara fra diverse case di produzione, solitamente tre, per l’assegnazione del budget di produzione. Ogni casa di produzione presenta all’agenzia pubblicitaria il regista con il quale intenderebbe realizzare il filmato e unitamente ad esso un preventivo di produzione. A questo punto è l’agenzia che va dal cliente, il quale ha la decisione definitiva ovviamente, ma l’agenzia esprime una raccomandazione a proposito di quale è la scelta più giusta per produrre quel determinato spot. La raccomandazione dovrebbe essere guidata dalla qualità creativa, non necessariamente dal preventivo più vantaggioso in termini economici. Voglio dire che capita a volte che il preventivo vincente non sia quello più basso, se l’impianto produttivo più convincente è un altro, un regista evidentemente migliore di un altro. E normalmente la raccomandazione dell’agenzia è accolta, o quantomeno ascoltata e valutata con attenzione.
Ora, basta fare un piccolo intervento in questo meccanismo dicendo: io direttore creativo raccomando te casa di produzione e ti faccio vincere la gara per la realizzazione di questo spot in cambio di una percentuale prestabilita del valore del budget, cioè del valore del preventivo. Ricordiamo che per realizzare uno spot pubblicitario si può partire da qualche centinaio di migliaia di euro fino ad oltrepassare il milione, a seconda della complessità del progetto. Il gioco è fatto, semplice e indolore. Per qualche anno Francesco M. si trovò bene con questo sistema, facendo il suo bene e quello dei suoi compari a capo delle più importanti case di produzione italiane. Poi divenne ingordo, e cominciò a sgarrare. Innanzitutto cominciò a pretendere il pagamento anticipato della sua percentuale, ma soprattutto si fece pagare da tutte le case di produzione coinvolte in una gara, poi naturalmente solo una di loro vinceva la gara. A quelli che a questo punto gli chiedevano la restituzione della mazzetta anticipata, lui rispondeva di volta in volta cose vaghe o in maniera irritata, ma sempre promettendo che si sarebbero rifatti alla prossima produzione. Solo che come è facile intuire, ad ogni produzione, per ogni creditore soddisfatto c’erano due nuovi creditori incazzati, in un gioco che diventò rapidamente incontrollabile.
Ma non sappiamo se neanche questo è il movente.

6.
Movente numero 3: l’invidia.
Una cosa che capita nel mondo della pubblicità (probabilmente capita anche in altri ambienti, uno per tutti la politica, ma nella pubblicità è una regola ferrea) è che più fai schifo, più hai successo. Infatti, Francesco M. aveva un enorme successo, sia presso i clienti sia presso i colleghi dell’ambiente pubblicitario. I direttori marketing e gli amministratori delegati, e poi giù giù fino ai più oscuri ridicoli portaborse, amano essere blanditi, sedotti, amano essere incantati dall’affabulazione del direttore creativo: in poche parole amano essere presi per il culo. E prendere per il culo la gente era esattamente la cosa che Francesco M. sapeva fare meglio di qualunque altra, così tenendo in pugno un gran numero di persone, e soprattutto di clienti. Probabilmente nella sua vita non aveva mai avuto un’idea originale, ma in quanto a spumeggianti esibizioni teatrali davanti a platee di clienti adoranti, non aveva rivali.
C’era tuttavia anche l’altra faccia del successo. Le agenzie di pubblicità pullulavano di creativi frustrati e uggiosi che vivevano nella perenne rimasticazione di una sorda invidia nei confronti del nostro eroe, colpevole di aver raggiunto qualcosa che loro non avrebbero mai potuto raggiungere. E come spesso capita, il grado di invidia cresceva in rapporto inversamente proporzionale con il decrescere di qualunque forma di talento. I più livorosi erano in assoluto quelli che forse si rendevano oscuramente conto di non possedere né il più piccolo talento creativo, né la benché minima capacità affabulativa, che è pur sempre una forma di talento. In altre parole gente in grado di produrre soltanto campagne pubblicitarie di merda, esattamente come Francesco M. Con la differenza che Francesco M. la sua merda riusciva sempre a venderla ai clienti, e i clienti erano entusiasti di mangiare la merda che Francesco M. aveva confezionato per loro.
Fra questi colleghi di Francesco, fra questi personaggi insicuri di sé, o meglio sicuri della propria mediocrità senza appello, incapaci di spiegare i trionfi quotidiani di qualcuno che sentivano accomunato nella loro stessa mediocrità, messi di fronte giorno dopo giorno alla prova lampante del loro fallimento, si annidavano centinaia di potenziali sospetti di omicidio.
Ma non sappiamo se neanche questo è il movente.