lunedì 9 giugno 2008

Irreperibile

L'aereo è una biblioteca, la biblioteca è un aereo. La biblioteca e l'aereo sono un ponte.
Due posti così diversi, ma con così tante cose in comune. (Una cosa in comune, a dire il vero, ma importantissima.) Un tempo tutto loro. Un tempo sospeso. Un tempo fermo fra due abissi di fluire nevrotico.
Quando abbandoni la luce del giorno, il traffico, i clacson delle macchine e la puzza di smog per attraversare il portone di legno intarsiato della biblioteca Casanatense in Roma stai salendo su quel ponte e non vuoi raggiungere l'altra riva, incominci a muoverti molto lentamente come nel film Nike con Michael Jordan che cattura lo spazio di tempo quasi immobile nella città che assiste al lancio di un pallone verso il canestro. Dalla mano di Michael Jordan al canestro c'è un ponte di tempo indisturbato, pienamente goduto. (L'unico pienamente goduto).
Così quando abbandoni il braccio pneumatico del terminal e sali su quel luogo extraterritoriale, un luogo che non appartiene a nessun luogo, c'è in qualche modo la stessa sacralità della biblioteca. Ti siedi nella tua poltrona, ti accomodi sul ponte sospeso fra due pezzi di mondo che continuano a correre come pazzi mentre il tuo tempo comincia a rallentare. L'aereo rulla sulla pista, acquista velocità, e il tuo tempo rallenta sempre più. L'aereo raggiunge la velocità massima, il punto di non ritorno, decolla, e il tuo tempo finalmente, magicamente si ferma. Più lungo sarà il volo, più tempo guadagnerai.
E' una bugia, un fatale errore di prospettiva pensare che i lunghi viaggi transoceanici da un continente all'altro siano una perdita di tempo. Al contrario, mentre ai due punti estremi della linea del viaggio c'è la consunzione del tempo fisico che si brucia inutile in riunioni, telefonate, discussioni, umiliazioni, code in macchina, insomma nella vita di tutti i giorni, all'interno dello spazio irraggiungibile in cui ti trovi c'è il tempo per leggere, dormire, pensare, guardare il cielo e le nuvole e le stelle e la notte, non fare niente, insomma per vivere. (cfr. l’inesauribile miniera di sapienza costituita dall’orsetto di pezza Winnie the Pooh, per il quale ‘non fare niente’ equivale esattamente a ‘vivere’.)
Nella biblioteca la protezione del tempo immobile è spirituale, filosofica. Essa è il presupposto stesso dell'esistenza della biblioteca. Questo luogo nasce per salvare qualcosa (i libri, le storie, la conoscenza, le passioni) dalla distruzione operata dal tempo che passa di volta in volta sotto forma di tarme, inquisizione, nazisti, venditori di spazi di Publitalia. E quando ci entri senti che per quell'ora, quelle due o tre ore che rimarrai lì dentro sarai salvo anche tu, assediato forse ma salvo, ti senti partecipe e beneficiario di quell'opera meritoria. Sei in un luogo antico circondato da cose antiche, cose sopravvissute ai secoli che ancora ti raccontano delle storie, entri in un libro e poco dopo la mano che ti artiglia il cuore allenta la sua presa e si allontana, tanto sa che alla lunga vincerà, quindi può anche andare fuori ad aspettarti con calma.
Così nell'aereo la protezione del tempo immobile è fisica, tecnologica. Principalmente dovuta a quel fatale errore di prospettiva, al fatto che la maggior parte della gente là fuori, quelli che ti aspettano impazienti ai due lati della linea, i padroni del tuo tempo esterno, seduti in una sala riunione con dei lucidi già caricati sulla lavagna luminosa, considera questo tempo che stai vivendo, il tempo dello spostamento, un tempo perduto. Perduto per loro, guadagnato per te.
Se sei mai entrato in una biblioteca non puoi non aver notato una cosa straordinaria. Generalmente si trovano nel centro delle città, circondate dal traffico e dal rumore. Eppure dentro c'è un silenzio assoluto, irreale.
Così se hai volato almeno una volta su un aereo abbastanza nuovo, e non hai avuto la sfortuna di sederti proprio in fondo accanto ai motori, non avrai potuto fare a meno di notare il silenzio inatteso che regna all'interno, considerando il fracasso che gli aerei fanno da fuori, un silenzio rotto solo da un timido costante ronzìo di fondo, che sollecita il raccoglimento, la riflessione, infine il sonno e l'oblìo.

Oggi Sposi

Massimo e Sabina si amano da sei anni, e hanno deciso di sposarsi. Le famiglie sono d’accordo, e si comincia a discutere dei dettagli: il ristorante, la lista degli invitati, l’abito da sposa, quelle cose lì insomma.
Lui lavora in periferia di Piacenza, in un’officina meccanica ben avviata che appartiene allo zio Francesco. Lei fa la cassiera in un supermercato del centro. Per il momento hanno deciso che continueranno a lavorare tutti e due, poi se arriveranno dei figli si vedrà. (Sabina dice ‘si vedrà’ ma in realtà non ha nessuna intenzione di smettere di lavorare, semplicemente una discussione in merito con il suo capoccione adorato le sembra prematura, e la rimanda a data da destinarsi.)
Come spesso capita, Sabina è di vedute un po’ più larghe, Massimo è un po’ più conservatore, e su tanti argomenti discutono animatamente. Ma ci sono anche tantissime passioni che condividono: fra queste, al primo posto, c’è l’amore per le motociclette.
Mettendo insieme soldo su soldo e risparmiando dovunque era possibile, Massimo si è potuto comprare la sua nuova moto, quella che sognava da tanto tempo. Sabina approva questa scelta, perché pensa che le vere grandi passioni vadano perseguite, e quindi è l’alleata più convinta di Massimo contro tutto il resto di tutte e due le famiglie mugugnanti.
Massimo non saprebbe spiegarlo con parole troppo chiare, ma istintivamente sente la speciale unica qualità di Sabina, e la ama e la rispetta ogni giorno di più.

Con orgoglio le mostra la sua fiammante Honda CBR 900, ascoltano insieme il rombo del motore, e partono per la loro scampagnata domenicale su per le colline.
Nessuno vede l’incidente, quindi nessuno può descriverlo, ma quando arrivano le ambulanze si capisce subito che la cosa è molto grave.
La moto praticamente non esiste più, i vari pezzi accartocciati nel raggio di trenta metri. Sabina arriva morta all’ospedale. Massimo ci arriva rotto in diversi punti, ma vivo.

Quando dopo diverse ore si risveglia dal sonno senza sogni dei sedativi, Massimo vuole sapere di Sabina. Dapprincipio tutti tergiversano (nessuno è mai preparato né a dare né a ricevere queste notizie), poi pur con mille cautele lo zio Francesco è costretto a dirglielo.
Come pazzo allora Massimo comincia ad urlare e dimenarsi e vorrebbe alzarsi dal letto tanto che devono intervenire tre infermieri ben piazzati che insieme allo zio Francesco lo tengono fermo, finché riescono a fargli una nuova iniezione di sedativo e lui finalmente si calma un po’ e pian piano si addormenta.
Nel dormiveglia non fa che ripetere il nome di lei e dice che non è possibile, che si devono sposare, che è tutto pronto, persino la lista degli invitati, che l’abito è già stato comprato e il ristorante prenotato. Quasi tutti i parenti escono dalla stanza, gli infermieri non sanno da che parte guardare, resta solo lui, lo zio Francesco, invecchiato di vent’anni in una notte, seduto accanto al letto di Massimo, che gli tiene la mano con espressione concentrata.

Si risveglia nuovamente, e stavolta sembra molto più tranquillo. Vede lo zio accanto al suo letto e sorridendo gli dice:
-Zio, oggi io e Sabina ci sposiamo.
-Cosa dici, bambino mio, lo sai che non è possibile.
Non è possibile civilmente, non è possibile per la chiesa, ma Massimo non sente ragioni, e minaccia di fare qualche pazzia se non gli fanno sposare Sabina. Allora viene chiamato il parroco che lo conosce da quando è nato, ma nemmeno lui riesce a dissuaderlo.

Quello stesso pomeriggio Massimo viene trasportato in ambulanza fino alla piccola Cappella del Commiato vicino a casa di Sabina, dove è esposta la salma della ragazza in attesa del funerale.
Gli infermieri accostano la sua lettiga alla bara aperta di Sabina, e Massimo le infila al dito la fede nuziale che avevano scelto insieme, poi le sistema con cura e dolcezza un bel bouquet di fiori all’altezza delle mani, mentre il parroco recita una preghiera per gli sposi.
La mattina successiva si celebra il funerale. Ci sono i parenti, gli amici, c’è tutto il quartiere, ci sono i soliti curiosi. Ci sono tutti.
Manca solo Massimo.