lunedì 27 aprile 2009

Il tempo ritrovato

Un giorno andai a trovare Anna, verso la fine di giugno. Era stanca ma di buon umore. Aveva già provato tutto, e sembrava sollevata dal fatto di non aver lasciato niente di intentato: i raggi, la chimica, i viaggi della speranza.
Diceva:
-La coscienza ce l'ho a posto. Almeno quella.
In quel periodo leggeva moltissimo e non usciva quasi più. Mi raccontò che aveva avuto per tanti anni nella libreria i sette volumi della Ricerca di Proust, Einaudi Editore, collana Gli Struzzi, la stessa edizione che avevo a casa io, e che non aveva mai avuto il coraggio di affrontarli.
-Dillo a me, quelli mi fissano ogni mattina solo per farmi sentire in colpa.
Ma ora quel coraggio l'aveva trovato, e si era buttata a capofitto in quell'impresa così impegnativa. Fra una chiacchiera e l'altra, quasi casualmente, quel pomeriggio mi disse sorridendo:
-Chissà se ce la farò a finirlo.
Lo disse con leggerezza, come avrei potuto dirlo io, con un riferimento alla mia pigrizia e alla rottura di palle per un libro che non finisce mai.
Non abbiamo mai parlato della morte, né mai pronunciato la parola cancro. Però stranamente non mi sembrava che ci fosse reticenza fra noi. Semplicemente, non era necessario essere brutali. Sulla porta mi disse:
-Abbracciami.
Portava sempre dei maglioni enormi perché aveva sempre freddo. Così prima di quel momento non avevo mai capito quanto fosse dimagrita.
Tre mesi dopo sua sorella mi diede una busta. Dentro c’era un foglio del suo bloc notes.
Lessi:
“Non ci crederai, ma ce l'ho fatta.
Te lo consiglio.
Ricordati di me.
Anna.”

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