lunedì 23 marzo 2009

Quello che so

(Tragicommedia ambientata nel magico mondo della pubblicità)
Undicesima puntata


30.
Pendeva dal ramo del platano più grande in cima alla collina. Aveva scelto quel posto perché era un posto che lo aveva sempre messo di buonumore, una volta. A pochi metri dall’albero c’era la casa. La loro casa, il loro rifugio, la loro via di fuga. Ricostruita solo a metà. Loro non avevano fatto in tempo a vederla finita, e non l’avrebbe vista finita neanche lui.
Roberto Benati aveva finalmente elaborato il proprio lutto. Roberto Benati si era liberato di tutti i suoi bagagli.

31.
Troppi moventi e nessuna spiegazione. Nessun senso. Nemmeno la lettura del diario di Francesco M. lo stava aiutando ad avvicinarsi alla soluzione del caso. Lo stava aiutando a capire quell’uomo che inizialmente aveva disprezzato, e forse questa era una parte dell’avvicinamento alla verità. Francesco M. sembrava capire qualcosa della sua vita che nessun altro sospettava. Ma nel suo diario sollevava più domande di quante risposte riuscisse a dare, o avesse voglia di dare. Il dottor Calogero Moiano prese una penna, un foglio di carta e una sigaretta. Ordinò un aperitivo e provò a scrivere un elenco di domande senza risposta. Sapeva che sarebbe stato probabilmente molto frustrante, ma ci provò lo stesso.
1. A cosa voleva provare a rimediare? E cosa voleva dire “Lo so io, vedrai”, la frase detta a Roberto Benati?
2. Chi è il pesce pulitore?
3. Chi sono quelli che hanno rubato il sogno di Francesco M? Chi sono quelli che devono pagare?
4. E a che tipo di pagamento si riferisce? In denaro, o un risarcimento morale? Forse vendetta?
5. …
Il telefono cellulare del dottor Moiano squillò, facendolo come al solito sussultare. Odiava quell’affare, anche se non poteva ormai farne a meno. Sul display c’era il numero dell’ufficio, e lui rispose in modo brusco:
“Spero che sia qualcosa di urgente, avevo detto di non disturbarmi.”
“E’ per via di quel signore che ha incontrato stamattina, dottore. Roberto Benati, se lo ricorda.”
“Certo che me lo ricordo, e allora?” Sapeva già quello che stavano per dirgli, e aveva già cominciato a darsi del coglione.
“E’ morto, dottore.”
“Come?”
“Impiccato. L’hanno trovato appeso a un albero su un terreno di sua proprietà nel territorio del comune di Nibbiano, in provincia di Piacenza. Sembrerebbe proprio un suicidio, dottore.”
“Ho capito. Ci vediamo in ufficio tra poco.”
Camminando verso il tribunale si sentiva sopra le spalle almeno dieci anni di più, e vedendolo camminare improvvisamente così curvo quei dieci anni li avreste visti anche voi. Il suo cervello gli inviava continuamente lo stesso pensiero, come in una loop abbandonata: ‘Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo? Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo? Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo? Tu lo sapevi, testa di cazzo. Perché non hai almeno provato a fermarlo?’

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