lunedì 13 giugno 2011

Le chiavi di casa

-Ciao, non ho riconosciuto il numero, da dove stai chiamando?
-Da una cabina telefonica. Anzi per l’esattezza da un Posto telefonico pubblico, non hai idea di cosa ho dovuto fare per trovarne uno. Ormai sono introvabili. Ti ricordi di quando le cabine del telefono erano a ogni angolo di strada?
-Sì, e di quando c’era la carta carbone, e le video cassette e il Carousel della Kodak, adesso non cominciare ti prego.
-Ok, ok, non ti scaldare. Ritarda l’accensione delle polveri ancora per un attimo.
-Che vuoi dire? (pausa) Ora che ci penso, perché non mi hai chiamato dal cellulare?
-E’ una storia lunga. Hai tempo e voglia di sentirla?
-Né l’uno né l’altra, veramente. Ma mi sa che mi toccherà ascoltarla comunque la tua storia. Cerca almeno di non tirarla troppo per le lunghe come tuo solito. Dunque? Te l’hanno rubato?
-Magari.
-Perché magari?
-Ne uscirei meglio. Un po’ meglio ai tuoi occhi intendo. Vittima innocente di un sopruso.
-Che palle con questa storia, Marco. Lo sapevo che finiva così. Se ti va di dirmi cosa è successo, dimmelo. Altrimenti facciamola finita subito. Ne ho le palle piene del tuo vittimismo.
-Lo sai quella specie di tombino che c’è proprio davanti al portone di casa? Quel cazzo di tombino di marmo con le fessure che mi ha sempre spaventato dal primo giorno che siamo arrivati lì?
-Non è un tombino. Altrimenti non ci sarebbero le fessure, e ho idea che se fosse un tombino non sarei qui a sentire questa storia. Allora, come ha fatto il tuo cellulare a finire dentro una fessura? L’avevi in mano e ti è scivolato, come ti scivola tutto da quelle mani di burro?
-Capisci perché ho risposto magari quando mi hai chiesto se me l’avevano rubato? Comunque no, era in tasca e mi è scivolato fuori dalla tasca. Che sfiga.
-E adesso dimmi perché non mi hai chiamato da casa, e sei andato a cercare un posto telefonico pubblico, ormai quasi introvabile.
-(silenzio)
-Ci sei ancora Marco? Guarda che non ho tutta la sera. Siamo appena tornati dal mare, quei due devono ancora fare la doccia e io non ho ancora cominciato a preparare la cena.
-Ha a che fare con il motivo per il quale mi è scivolato il telefono dalla tasca.
-Cioè?
-Non avevo il telefono in mano perché avevo le chiavi di casa, in mano. Stavo per aprire il portone. Quelle, mi sono scivolate dalle mani di burro.
-Non ci credo.
Mi sono buttato giù di colpo nel tentativo di prenderle al volo, e nel movimento mi è uscito il telefono dalla tasca. Le chiavi in una fessura, il telefono in un’altra.
-Non ci credo.
-E’ così. Ora puoi cominciare a sparare. Sono pronto.
-Non ci credo. Non puoi essere così coglione. E adesso?
-Dimmelo tu, adesso. Il palazzo è vuoto. Milano è vuota, non c’è un cane che mi possa ospitare, sono partiti tutti. E comunque non è che mi ricordi i numeri di telefono di tutti a memoria. Il biglietto del treno è in casa, la valigia è in casa, e io non ci posso entrare.
-Ok, mi fa veramente schifo buttare i nostri soldi così, ma l’unica cosa che puoi fare è andarti a cercare un albergo e poi domani mattina ricomprare il biglietto direttamente alla stazione. Come se navigassimo nell’oro, in questo momento.
-Non posso.
-Anche a me fa schifo buttare così i soldi che non abbiamo, come ho detto, ma non vedo altra soluzione.
-No, è che non posso proprio… avevo voglia di un gelato, così ho preso solo cinque euro e sono uscito. Senza portafoglio. Quindi senza documenti, senza carte di credito. E meno male che non ho trovato nemmeno una gelateria aperta, così ho risparmiato i soldi del gelato e ti ho potuto telefonare…
-(silenzio)
-Ci sei ancora, Raffaella? Ora non è che possa pensare di chiederti di mollare tutto e partire per venire a soccorrermi, dalla Puglia fino a Milano, con due bambini, il 13 agosto. Lo so perfettamente. E’ solo che mi sembra che stia andando tutto in malora, dentro la mia testa. Mi sembra di non riuscire a fare più niente. Che tutto mi sia precluso. Che tutto sia per me un ostacolo insormontabile. Ho paura di tutto. Come questa storia delle chiavi. E del telefono. Ogni volta che mi avvicinavo a casa ero ossessionato da quelle cazzo di fessure, pensavo cazzo, pensa se mi cadessero le chiavi lì dentro, magari in un momento che Raffaella non c’è, magari in un momento in cui il palazzo è vuoto, tipo verso ferragosto. E più ci pensavo più le mie mani tremavano, si facevano di burro. E stasera mi tremavano talmente forte che è successo. Non so neanche perché ti ho telefonato. Forse solo per sentire la tua voce. Per avere un po’ di conforto. Mi capisci?
-La mia pazienza e la mia comprensione sono esaurite, coglione. Vai a chiedere rifugio alla Caritas o all’Opera di San Francesco. Buonanotte. (click)

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