mercoledì 15 luglio 2009

Quello che so

Diciottesima puntata

42.
Pausa pranzo.
E questo era di per sé un avvenimento per il dott.Moiano, poiché per una volta aveva deciso di concedersi una vera pausa e un vero pranzo. Si sentiva inspiegabilmente di buon umore. Di un umore che non corrispondeva affatto al suo stato d’animo abituale. Riuscì per qualche minuto persino a dimenticarsi del vicolo cieco in cui si era cacciato con il caso Francesco M.
Arrivati alla creme broulée, di cui andava ghiottissimo e che aveva imposto anche al suo giovane subalterno, improvvisamente chiese:
"Senti un po’, Franco. Che ne dici se mi facessi chiamare Cal?
Cal Moiano?"
"Non so, dottore, io non…"
"Ti sembra strano? Lo trovi buffo?" (Questa frase la pronunciò imitando Joe Pesci in Goodfellas, ma non era sicuro che il ragazzo fosse in grado di cogliere la citazione).
"No, è che non capisco il motivo di questa…scelta."
"Sai, indagando su questo fottuto caso ho notato che nell’ambiente pubblicitario, a parte le dovute eccezioni fra le quali la nostra vittima, molti hanno la tendenza ad americanizzare il proprio nome, renderlo esotico, anche se vengono, chessò, da Matera o da Villa S.Giovanni. Forse è più glamour così, e anche più ciovane. Allora, ho pensato, Cal Moiano da Benevento, magari fa figo, no? Cosa ne dici tu, che sei ciovane? "
Il giovane Malegori era visibilmente confuso, così il dott. Moiano rimase a scrutarlo per qualche istante, molto divertito.
"Sei come mia moglie. Tu e lei non capite mai quando scherzo. Che noia." Disse Moiano sorridendo.
"Forse è perché lei non scherza mai, dottore."
"La finisci quella crema bruciata?"
"No, dottore, io non amo la creme broulée, come lei sa molto bene. In più mi si appiccica tutta ai denti e rischio di far saltare il provvisorio che ho qui a destra. Prego, la finisca lei."
"Se proprio insisti…Allora fammi il piacere, torna in ufficio e vedi se quella è arrivata. Ha chiesto di parlarmi, chissà cosa avrà ancora da dire, certamente niente che possa interessarmi. Casomai falla aspettare cinque minuti, offrile un caffè, un bicchier d’acqua. Io arrivo. Non si può mica mandare indietro questa prelibatezza."

43.
“In una cosa quella grandissima testa di cazzo ci aveva preso. E sa qual è?”
Calogero Moiano scosse il capo, in silenzio. La donna riprese a parlare.
“Il pesce pulitore lavora di notte. Il pesce pulitore ama la notte. Quella quiete, quel silenzio, che meraviglia. Proprio così: lei non immagina neanche lontanamente cosa diventi l’agenzia pubblicitaria, di notte. E’ un luogo incantato, è il paese delle meraviglie, per chi quelle meraviglie sa dove cercarle.”
Anche se di quando in quando si concedeva lunghe pause di riflessione, durante le quali aspirava lentamente le sue anacronistiche sigarette al mentolo, la donna sembrava avere voglia di parlare.
E Moiano la lasciò parlare, pur sospettando che non avrebbe rivelato niente di significativo ai fini dell’inchiesta.
“Sa dottore, i creativi sono come dei bambini viziati. Sono capricciosi, egocentrici, prepotenti, e anche disordinati, disorganizzati, presuntuosi.
Partendo dai Francesco M. di questo mondo e arrivando fino all’ultimo sfigato di stagista sbarcato ieri in agenzia, si sentono tutti delle superstar, primedonne piene di sé, boriosi come pavoni. Sono così arroganti da considerarsi persino i padroni delle loro stesse idee. Credono di avere il potere su quelle idee che fuoriescono da quelle testoline da mocciosi, credono di poterne disporre a piacimento. Pensi un po’. Ma non basta. Credono di essere in grado di poter decidere quali sono le buone idee e le cattive, usare il potere di discernimento e di giudizio, e attraverso questo potere pensano di tagliarci fuori, metterci in un angolo.
Che idioti.
E la cosa più idiota di tutte è che credono che al centro di questo loro ridicolo mondo delle favole ci sia il Direttore Creativo, il loro guru, il loro mentore e protettore, quello in grado di capire la potenzialità di un’idea e nutrirla, farla crescere, difenderla contro tutto e tutti, soprattutto contro i cattivi (che siamo noi) e spesso anche contro gli stessi clienti, che sono quelli che alla fine ci mettono i soldi. Se lo immagina questo ridicolo personaggio, il direttore creativo, che delle volte si sente un po’ come Andy Warhol alla sua Factory, e pontifica di pubblicità come se parlasse delle ultime tendenze dell’arte contemporanea? La sto annoiando, dott. Moiano?“

44.
Quello che so, pag. 34:

Quello che so è quello che vedo. Tutti i giorni da questa finestra vedo il mondo scorrere davanti a me.
Era gennaio, credo, di certo faceva un freddo cane, questo lo ricordo bene perché mi stupì molto vedere quel ragazzo in mezzo alla strada con addosso soltanto una camicia di cotone e un paio di jeans tutti zozzi e bucati. Nient'altro. Nemmeno le scarpe. E la prima cosa che ho notato di lui infatti sono stati i piedi. Sopra neri di fango e sotto rossi di freddo.

Non lava i vetri delle macchine, non vende accendini. Neanche importuna nessuno con la classica aggressività da semaforo.
Ciondola col suo sorriso ebete, e basta. La mano appena sollevata a mendicare senza convinzione camminando traballante da un'auto all'altra. Senza aspettare il cenno di rifiuto che tutti gli rivolgono. E sorride con l'aria di non rendersi conto, o di rendersi conto troppo bene.
Così il primo giorno.
Il secondo, uguale.
Il terzo nevica e lui ora ha i piedi bianchi e paonazzi. Bianchi sopra e paonazzi sotto.
Tutto il resto non cambia.
Il quarto giorno comincio a sentirmi a disagio e non capisco perché.

Il quinto giorno mentre lo sto guardando dalla finestra lui si volta come se sentisse il mio sguardo. Alza gli occhi e mi fissa sorridendo. La sua bocca sorride, i suoi occhi no. I suoi occhi sono buchi neri. I suoi occhi sono morti. Occhi da squalo. Le macchine partono sgommando impaurite dal ragazzo muto e sorridente. Lui ora non ciondola più. Lui ora guarda. I suoi occhi sono fissi nei miei. Abbasso precipitosamente le tapparelle della finestra.

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