martedì 10 marzo 2009

Quello che so

(Tragicommedia ambientata nel magico mondo della pubblicità)
Nona puntata

25.
Nonostante ci fosse il memotac sulla porta, il giovane assistente del dottor Calogero Moiano entrò spedito, e per giunta senza bussare. Aveva la faccia tutta rossa e gli occhi quasi fuori dalle orbite. Moiano sollevò gli occhi dalla sua lettura e disse:
“Dalla tua faccia direi che hai scoperto qualcosa di interessante, Franco.”
“Ci può scommettere, dottore.”
“Io per abitudine non scommetto su niente, Franco. E in un caso come questo, meno che mai. Comunque, visto che sei entrato…”
“Li teneva per le palle, dottore. Tutti quanti.”
“Franco, per favore, vorrei che costruissi la frase in modo classico, come hai imparato a scuola: soggetto, predicato verbale, complemento oggetto. Sono piccoli e facili trucchetti, ma vedrai che così sarà più facile capirsi.”
Franco Malegori fece un lungo respiro e cercò di calmarsi. Anche se lo prendeva sempre in giro, il suo capo gli piaceva.
“La vittima, Francesco M., teneva per le palle tutti gli altri membri del consiglio di amministrazione della sua agenzia.”
“Siediti e raccontami tutto.”
“Lei sa che fino a poco tempo fa c’era un altro membro nel consiglio di amministrazione, Chris Connelly, un inglese che vive in Italia da tanti anni. Per l’esattezza era il presidente del consiglio di amministrazione. La carica formalmente più importante anche se poco più che onorifica. Se n’è andato improvvisamente tre mesi fa, e quando ho chiesto il motivo agli altri membri del consiglio, mi sono sembrati piuttosto evasivi. Così sono andato a trovarlo nella casa in Toscana dove si è ritirato, e lui mi ha raccontato una storia molto interessante. La vuole sentire?”
“Ho idea che siamo qui per questo.”
“Un giorno, all’incirca tre mesi fa, Francesco M. convoca gli altri e gli fa un discorso di questo genere: sentite, amici miei, ho pensato una cosa. Se io sono diventato il punto di riferimento, l’unico punto di riferimento, per quasi tutti i clienti di questa agenzia, è ora che questa agenzia in qualche modo mi riconosca il ruolo preminente che mi avete attribuito. Insomma, non voglio arrivare a dire che siete tutti qui a sbafo, ma poco ci manca. Quindi ho deciso quanto segue: primo, dal fatturato generato da ciascun cliente l’agenzia preleva una percentuale fissa, diciamo il 15%, e me lo versa. Secondo, da questo momento in poi, qui dentro voglio decidere tutto io, dallo stipendio dell’ultimo dipendente alle assunzioni delle segretarie, dal conto del bar al ristorante per la cena sociale. Se non vi sta bene non avete che da dirmelo e io me ne vado, però mi porto via tutti i clienti. L’avete detto voi che pendono dalle mie labbra, no?”
“Che figlio di zoccola…” Il dottor Calogero Moiano, suo malgrado, cominciava a provare una certa simpatia per quel patetico imbecille, come lo aveva chiamato solo poche ore prima.
“E’ la stessa cosa che devono aver pensato anche tutti gli altri, solo che poi ci hanno ripensato un attimo ed hanno capito che non potevano fare altro che accettare. In pratica si erano sparati nelle palle da soli.”
“E l’inglese, perché se n’è andato?”
“Che vuole, lui si era fatto un sacco di soldi negli anni passati, si era comprato una meravigliosa casa in Chianti, non aveva più voglia di tutto questo schifo, mi ha detto. Così ha detto vaffanculo, e arrivederci a tutti.”
“E perché mi hai raccontato tutto questo?”
“Dottore, mi sembra un movente perfetto. E’ anche una spiegazione plausibile dell’omicidio di gruppo, non le pare?”
Calogero Moiano sorrise, ma non era un sorriso allegro. “Già, avevamo proprio bisogno di un movente. E comunque, mi manca il quinto.”
“Prego?”
“L’inglese si era chiamato fuori, no? Inoltre, è stato lui a tirare fuori questa storia. Quindi possiamo presumere che lui non c’entri. Sei d’accordo, finora?”
Franco fece sì con la testa. Si stava sgonfiando come un palloncino bucato.
“L’anatomopatologo ha detto che aveva non meno di cinque impronte diverse, e loro, via l’inglese, sono rimasti in quattro. Ecco, mi manca il quinto.”

26.
Quello che so, pagina 19:
‘So che mi ci hanno spinto loro verso questo precipizio di cui non vedo il fondo, ma so anche che mi ci sono fatto spingere, che ho opposto ben poca resistenza. So che il mio sogno era un posto diverso da questo, un luogo silenzioso. L'aereo è una biblioteca, la biblioteca è un aereo. La biblioteca e l'aereo sono un ponte.
Due posti così diversi, ma con così tante cose in comune. (Una cosa in comune, a dire il vero, ma importantissima.) Un tempo tutto loro. Un tempo sospeso. Un tempo fermo fra due abissi di fluire nevrotico.
Quando abbandoni la luce del giorno, il traffico, i clacson delle macchine e la puzza di smog per attraversare il portone di legno intarsiato della tua Biblioteca stai salendo su quel ponte e non vuoi raggiungere l'altra riva, cominci a muoverti molto lentamente come nel film Nike con Michael Jordan che cattura lo spazio di tempo quasi immobile nella città che assiste al lancio di un pallone verso il canestro. Dalla mano di Michael Jordan al canestro c'è un ponte di tempo indisturbato, pienamente goduto. (L'unico pienamente goduto).
Così quando abbandoni il braccio pneumatico del terminal e sali su quel luogo extraterritoriale, un luogo che non appartiene a nessun luogo, c'è in qualche modo la stessa sacralità della biblioteca. Ti siedi nella tua poltrona, ti accomodi sul ponte sospeso fra due pezzi di mondo che continuano a correre come pazzi mentre il tuo tempo comincia a rallentare. L'aereo rulla sulla pista, acquista velocità, e il tuo tempo rallenta sempre più. L'aereo raggiunge la velocità massima, il punto di non ritorno, decolla, e il tuo tempo finalmente, magicamente si ferma. Più lungo sarà il volo, più tempo guadagnerai.
E' una bugia quindi, un fatale errore di prospettiva pensare che i lunghi viaggi transoceanici da un continente all'altro siano una perdita di tempo. Al contrario, mentre ai due punti estremi della linea del viaggio c'è la consunzione del tempo fisico che si brucia inutile in riunioni, telefonate, discussioni, umiliazioni, code in macchina, insomma nella vita di tutti i giorni, all'interno dello spazio irraggiungibile in cui ti trovi c'è il tempo per leggere, dormire, pensare, guardare il cielo e le nuvole e le stelle e la notte, non fare niente, insomma per vivere. (cfr. l’inesauribile miniera di sapienza costituita dall’orsetto di pezza Winnie the Pooh, per il quale ‘non fare niente’ equivale esattamente a ‘vivere’.)
Nella biblioteca la protezione del tempo immobile è spirituale, filosofica. Essa è il presupposto stesso dell'esistenza della biblioteca. Questo luogo nasce per salvare qualcosa (i libri, le storie, la conoscenza, le passioni) dalla distruzione operata dal tempo che passa di volta in volta sotto forma di tarme, inquisizione, nazisti, venditori di Publitalia. E quando ci entri senti che per quell'ora, quelle due o tre ore che rimarrai lì dentro sarai salvo anche tu, assediato forse ma salvo, ti senti partecipe e beneficiario di quell'opera meritoria. Sei in un luogo antico circondato da cose antiche, cose sopravvissute ai secoli che ancora ti raccontano delle storie, entri in un libro e poco dopo la mano che ti artiglia il cuore allenta la sua presa e si allontana, tanto sa che alla lunga vincerà, quindi può anche andare fuori ad aspettarti con calma.
Così nell'aereo la protezione del tempo immobile è fisica, tecnologica. Principalmente dovuta a quel fatale errore di prospettiva, al fatto che la maggior parte della gente là fuori, quelli che ti aspettano impazienti ai due lati della linea, i padroni del tuo tempo esterno, seduti in una sala riunione con dei lucidi già caricati sulla lavagna luminosa, considera questo tempo che stai vivendo, il tempo dello spostamento, un tempo perduto. Perduto per loro, guadagnato per te.
Se sei mai entrato in una biblioteca non puoi non aver notato una cosa straordinaria. Generalmente si trovano nel centro delle città, circondate dal traffico e dal rumore. Eppure dentro c'è un silenzio assoluto, irreale.
Così se hai volato almeno una volta su un aereo abbastanza nuovo, e non hai avuto la sfortuna di sederti proprio in fondo accanto ai motori, non avrai potuto fare a meno di notare il silenzio inatteso che regna all'interno, considerando il fracasso che gli aerei fanno da fuori, un silenzio rotto solo da un timido costante ronzìo di fondo, che sollecita il raccoglimento, la riflessione, infine il sonno e l'oblìo.
Ora non ho più silenzio, e il mio tempo appartiene a loro. Che almeno mi paghino.’


27.
“Sono ad un punto morto. Non so più da che parte andare. Forse questa storia è più grande di me.”
“Ti è capitato altre volte, caro. Poi alla fine ce l’hai sempre fatta.” La moglie del dottor Calogero Moiano soffiò sulle unghie per asciugare lo smalto, poi lanciò un sorriso affettuoso al marito.
“Questa volta è diverso, questa volta non ce la faccio, lo sento. E la cosa peggiore, la cosa che mi secca di più, è che mi rendo conto che mi sto affezionando ogni giorno di più a quel poveretto, capisci? Ogni giorno che passa vorrei risolverlo un po’ di più, questo caso, e ogni giorno che passa sento che mi sfugge un po’ di più.”
“Quante volte hai detto la parola ‘più’ in questa frase, caro?”
“E questo cosa c’entra?”
“Più vuol dire positività, energia, vita. Vuol dire che anche se ti sembra di allontanarti dalla soluzione, dentro di te hai l’energia positiva che ti serve per raggiungere il tuo obiettivo.”
Il dottor Calogero Moiano rimase qualche istante in silenzio, cercando di ricordare quale fosse il motivo preciso per il quale aveva sposato quella donna, poi disse: “Capisco.” e andò in cucina a stapparsi una birra.

Nessun commento: