lunedì 16 marzo 2009

Quello che so

(Tragicommedia ambientata nel magico mondo della pubblicità)
Decima puntata


28.
Roberto Benati esce di casa prima dell’alba, quando la città è ancora deserta. Non ci farà mai più ritorno. Prima di sparire per sempre, telefona al dottor Moiano e gli chiede se può andare a trovarlo un attimo. Il dottor Moiano gli risponde ma certo lei è sempre il benvenuto.
Quando si siede davanti al magistrato ha la faccia grigia e due occhiaie molto profonde. Il dottor Moiano, uomo discreto e riservato, non può fare a meno di chiedergli se si sente bene.
“Benissimo, è solo che ultimamente non dormo molto bene.” risponde Benati con aria assente.
“Vuole un caffè?”
“Mi scusi se la disturbo a quest’ora del mattino.”
“Non si preoccupi, anch’io sono molto mattiniero, ultimamente. Questo caso non mi lascia dormire.”
“Già, il caso. Come va, dottore? Sta seguendo qualche pista?”
“Sa che non potrei parlarne con lei, anche se volessi.”
“Perché sono un indiziato?”
“Questo conta poco, a dire la verità. Questo è il caso con il maggior numero di indiziati che mi sia mai capitato. Non ne posso parlare semplicemente perché l’inchiesta è ancora in corso, e come lei sa esiste il segreto istruttorio.”
“Allora forse può starmi ad ascoltare cinque minuti, se gliene parlo un po’ io.”
Benati non può vederle, ma le antenne del dottor Calogero Moiano si drizzano al massimo in una frazione di secondo.
“L’ascolto volentieri.”
“In realtà non credo di doverle dire niente di straordinario, o qualcosa che le possa dare una mano a risolvere il suo caso. Io…lei sa che ho perso da poco tutta la mia famiglia…”
“Sì lo so, mi dispiace, ma non capisco come…”
“Infatti non c’entra proprio niente. Mi viene in mente solo perché l’unico che sembrava essersi reso conto di quello che mi era capitato era Francesco M. Capisce? Uno così stronzo e spietato, una merda integrale…Voglio dire, non so bene neanch’io cosa voglio dire, non è che importi molto a questo punto. Però, ecco, Francesco non era quello che sembrava, o quantomeno non era soltanto quello che sembrava. Era molto di moda considerarlo e definirlo il perfetto stronzo perché lui per primo voleva essere considerato così. Ma insomma, la realtà era un po’ più complicata.”
“Perché mi dice questo? Perché adesso?”
“Non lo so…Voglio che lei sappia che non l’ho ucciso io, non avrei mai potuto. Mi ha dato una mano, ha cercato di aiutarmi a sopravvivere, e io mi vergogno di aver detto quelle cose su di lui quando ci siamo visti la prima volta. L’unica giustificazione che posso darmi e che probabilmente a lui avrebbe fatto piacere sentirsi dipingere così.”
Moiano vorrebbe rispondere che lo sa già, che ha dapprima cominciato a sospettarlo e poi a capirlo. Invece dice:
“E’ proprio sicuro di stare bene?”
L’altro lo guarda come se facesse fatica a riconoscerlo.
“Come? Oh, certo, le ho già detto che sto benissimo, mi sento anche un po’ più leggero adesso, ho depositato tutti i bagagli. Mi scusi ancora per il disturbo, arrivederci.”
Fa per alzarsi, ma il dottor Calogero Moiano lo trattiene con una mano appoggiata sul braccio. Vuole che quell’uomo sofferente resti ancora un po’ con lui.
“Non ho mai pensato che lei avesse ucciso Francesco M.” dice mentendo. “Comunque la ringrazio di avermi voluto dire queste cose. Senta, non ha proprio nient’altro da raccontarmi, è sicuro?”
C’è una pausa piuttosto lunga, di quel genere che ad un certo punto diventano imbarazzanti e senti il bisogno di schiarirti la gola o dire qualcosa sul tempo per riempire il silenzio. Il dottor Calogero Moiano ha già aperto la bocca per dire qualcosa, anche se non sa ancora cosa potrebbe dire, quando invece Roberto Benati risponde.
“Non era felice. Era spesso nervoso o cupo. Poi a volte diceva delle cose che non capivo, ma che evidentemente gli davano un po’ di sollievo.”
“Quali cose? Se ne ricorda qualcuna?”
“Beh, sì…negli ultimi tempi quando pranzavamo insieme o eravamo soli lui a volte mi diceva: “Roberto, forse sono ancora in tempo.” oppure “forse posso ancora farcela a rimediare.”
“E a cosa si riferiva?”
“Chi lo sa? Quando glielo chiedevo lui sorrideva e rispondeva “Lo so io, vedrai.”

29.
Quello che so, pagina 25:
Qualche giorno fa mi accorgo che l’acqua dentro il mio piccolo acquario in salotto è diventata torbida. Di nuovo. Che palle, non ho il tempo né la voglia di stare lì a pulire con la spazzola tutta quella merda.
Così vado al negozio dove l’ho comprato, e scopro l’esistenza del Pesce Pulitore. Ha delle piccole ventose nella parte inferiore del corpo, con le quali rimuove lo sporco dalle pareti dell’acquario. Tu guarda la natura cosa è un grado di inventare. Lo compro.
Quando lo libero dentro l’acquario tutti gli altri pesci corrono a nascondersi dietro le rocce o la vegetazione. Chissà perché, hanno paura. Ma forse è solo una mia impressione.
Il suo nome è gentile, singolarmente ingannevole. Farebbe pensare ad un timido esserino che svolga con diligenza l’umile mestiere di tenere l’acquario sgombro dalle alghe.
Non cadere in questa trappola, il pesce pulitore è un mostro, l’essenza stessa del male.
I condor e le iene sentono morire gli altri animali e arrivano a spazzare via tutto, ma non vivono insieme alle antilopi, non condividono le stesse passioni dei leoni, non bevono nel fiume fianco a fianco degli elefanti.
Il pesce pulitore vive con gli altri pesci, è uno di loro. Sembra uno di loro.
Si nasconde fra le piante, gioca a rincorrersi, e all’ora del rancio sbocconcella placidamente la sua razione.
Poi un giorno uno dei pesci manca all’appello, e noti che il pesce pulitore è impercettibilmente cresciuto, tanto impercettibilmente che stenti ad accorgertene, e più ancora a crederci.
Ci credi qualche giorno dopo, quando un altro pesce tropicale scompare dalla circolazione e vedi il pesce pulitore adagiato sul fondo, immobile.
Guardi meglio e capisci che il pesce pulitore non è adagiato proprio sul fondo, bensì su una lisca tropicale, ormai quasi completamente spolpata.
E’ cresciuto ancora un po’, ed è anche un po’ ingrassato. Intanto le pareti dell’acquario non sono più così limpide come i primi tempi, è subentrata un po’ di sciatteria nel modo in cui tiene pulita la casa.
Un giorno, quando dentro l’acquario da dieci che erano sono rimasti solo in due, lui e un nervosissimo pesciolino neon che ormai non è grande nemmeno un quinto del pesce pulitore, lo guardi in faccia con attenzione e ti sembra di vederlo sorridere, e non è un sorriso gentile e rassicurante come il suo nome farebbe pensare. Il suo sorriso ti fa rabbrividire. Ora sai chi è, sai qual è la sua natura, sai dove vuole arrivare.’

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