venerdì 13 febbraio 2009

Il Lettore Di Libri

(prima puntata)

1.
Di mestiere leggo libri.
Ma siccome leggo molto lentamente, guadagno pochissimo. Però il mio lavoro mi piace lo stesso. In realtà non lo considero un vero e proprio lavoro, anche se lo faccio per vivere. Ecco, lo faccio per vivere, in tutti i sensi. Lo faccio per sopportare l’assurdità della vita, lo faccio per distrarmi e pensare che il mondo sia diverso da quello che è. Migliore o peggiore, ma diverso. Non potrei vivere senza leggere, quindi faccio per lavoro qualcosa che se non dovessi mangiare e pagare l’affitto potrei fare anche gratis.
L’altro problema, se vogliamo chiamarlo così, è che tutto quello che leggo mi piace da pazzi. Quindi non sono obiettivo, quando l’obiettività è precisamente la dote che mi viene richiesta. Le mie recensioni sono tutte invariabilmente entusiastiche. Io ci provo, a trovare dei punti deboli nei libri che mi danno da leggere. Mi concentro sui difetti: difetti della trama, dei personaggi, dei dialoghi, della scrittura in generale.
Poi però, prima o poi, il libro con la sua piccola o grande magia prende il sopravvento, e mi dimentico di cercare i punti deboli. Alla casa editrice le hanno provate tutte, anche a togliermi delle pagine a casaccio dalle copie che mi davano da leggere. Io interpretavo i salti logici come delle meravigliose trovate dell’autore intese a mantenere alta la tensione.
Prima ero specializzato in thriller e spy stories. Improvvisamente hanno cominciato a darmi da leggere romanzoni sentimentali genere Liala, ai quali ho reagito con infantile meraviglia. Così loro sono passati al fantasy, poi ai racconti di viaggio, e quando hanno visto che non funzionava nemmeno quello, hanno tirato fuori dai silos nascosti sotto al deserto del Nevada l’arma-fine-di-mondo: degli enormi mattoni di biografie storiche che sarebbero state indigeste persino per uno struzzo a digiuno da settimane. “Mattoni”, questo lo pensavano loro, perché io le trovavo tutte invariabilmente appassionanti.
Così ieri il capo mi ha mandato a chiamare. A me dispiaceva sospendere la lettura, ma ovviamente non potevo dire di no. Quindi sono salito in ascensore e ho schiacciato, per la prima volta nella mia vita, il pulsante del ventesimo piano.
Il capo mi ha guardato in silenzio per un paio d’ore, poi ha detto:
-Dunque, è lei.
Non sapevo bene cosa dire, quindi sono rimasto zitto.
-Lo sa, Bartoli, quanto abbiamo perso con La vita e le opere di Bernardino Zapponi?
-Un libro enorme.
-Un enorme flop, e ne abbiamo tirate 800.000 copie, dietro suo suggerimento.
-….
-Sa quante ne abbiamo vendute?
Tirai a indovinare.
-Settecentomila?
-Può togliere le migliaia, Bartoli. Ne abbiamo vendute meno di settecento, e solo perché l’autore, inspiegabilmente visto il cane che è, ha moltissimi amici.
-Francamente, mi sembra un po’ ingeneroso…
Smisi di parlare perché ero occupato ad abbassarmi per evitare di essere colpito dal quarto volume della Treccani che il mio capo aveva preso dalla sua libreria e mi aveva lanciato addosso.
Rannicchiato dietro la poltrona tirai verso di me con un piede il pesante volume che mi era stato lanciato, e mi accorsi che ne era caduto un foglietto di carta ripiegato più volte su se stesso. La carta era ingiallita, io ne dedussi brillantemente che il foglietto fosse rinchiuso fra le pagine della Treccani da molto molto tempo, e senza sapere il perché me lo infilai in tasca.
Quando mi rialzai il boss sembrava essersi calmato, si era seduto e stava fumando una sigaretta. Ebbi la tentazione di ricordargli la normativa che vietava il fumo negli ambienti di lavoro, poi lasciai perdere.
Non mi invitò a sedermi, quindi rimasi in piedi. Lui sembrava come perso in un universo parallelo, nel quale forse non aveva tirato 800.000 copie de La vita e le opere di Bernardino Zapponi (un libro enorme, non solo come stazza), e io pensai che si fosse dimenticato di me.
Con la lentezza di una lumaca in letargo iniziai a muovermi verso la porta dell’ufficio, senza mai voltare le spalle al capo, e mi ero quasi messo in salvo quando lui sembrò accorgersi nuovamente della mia presenza.
-Bartoli, dove va?
-Niente…io…mi sembrava…
-Si segga.
-Veramente io dovrei…
-Si segga. Parliamo.
-Come vuole.
Quello doveva avere un casino di tempo a disposizione, perché rimase di nuovo in silenzio per un tempo che non mi metterò nemmeno a quantificare, tanto non mi credereste.

2.
Ero sulle spine per tanti motivi, ma soprattutto perché avevo appena iniziato a leggere un nuovo libro molto promettente, che mi chiamava silenziosamente a sé con la sua attrazione magnetica. Si trattava della vita di Benjamin Lagardère, in arte Glok, un famosissimo mimo belga che improvvisamente all’apice della sua carriera viene colpito da un gravissimo ictus con conseguente paralisi bilaterale irreversibile. Egli ama talmente il suo lavoro, tuttavia, che decide di non abbandonarlo e di proseguire, pur tra mille avversità. Da un giorno all’altro non è più quindi Glok il mimo, ma diventa Glok la Sfinge, il primo mimo al mondo che si esibisce non soltanto senza emettere alcun suono, ma anche senza accennare il benché minimo movimento.
Al giorno d’oggi nessuno si stupisce nel vedere le nostre città invase da centinaia e centinaia di epigoni di Glok, ma provate ad immaginare la potenza eversiva del primo spettacolo della Sfinge in un teatro popolare della periferia di Bruxelles.
Questo era solo l’antefatto, dato che la gran parte del libro si concentrava sulla minuziosa descrizione di tutti gli oltre duecento spettacoli che Lagardère offrì come Glok La Sfinge. Capite quindi che non vedevo l’ora di rituffarmi nella lettura.
Una voce proveniente dall’iperspazio parlò:
-Cosa sta leggendo, adesso?
-Glok la Sfinge.
-E come le sembra?
-Finora elettrizzante, direi.
Sorrise. Non l’avevo mai visto sorridere.
-Bene, bene. Senta, lo sa che io la dovrei cacciare a pedate, vero?
-…
-Quanti anni sono che lavora per noi?
-Venti, circa.
-Ho paura di venire a scoprire un giorno quanti soldi ci ha fatto perdere in questi vent’anni (circa) con le sue recensioni e i suoi suggerimenti. Non voglio saperlo.
-Non erano sempre recensioni positive. Io…
-Già, sì, mi ricordo che per esempio Il nome della rosa non le era piaciuto molto.
-Un po’ noioso, infatti.
-Infatti.
Lasciò quell’infatti ad aleggiare minacciosamente sopra la mia testa mentre il suo volto si rabbuiava di nuovo. Pensai che il terzo o il quinto volume della Treccani, o peggio entrambi, stessero per prendere il volo, quando lui sorrise di nuovo.
-Infatti, dovrei proprio cacciarla a pedate…(pausa)…Ma ho un’idea migliore.