martedì 16 dicembre 2008

Uno stupido comò

La discussione si trasformò lentamente in lite quasi senza che se ne accorgessero. Si partiva sempre da piccole cose, inezie. Quel giorno, poco dopo pranzo, il tema era lo spostamento di un mobile da un punto all'altro della casa. Anzi, da un punto all'altro della stessa stanza. Lei voleva spostare il mobile, lui no. Lei ben presto lo accusò di non voler fare niente per la casa, ma non parlava della casa, parlava di lei. Lui ammetteva la sua pigrizia, ma ripeteva stancamente che era fatto così e che voleva essere accettato così. Lei disse che per lui fare anche la più piccola cosa era una sofferenza, e che la vita così non era sopportabile, né per lei né per lui. In breve, partendo da uno stupido comò, erano arrivati a mettere in dubbio i fondamenti del loro rapporto.
Questo tipo di discussioni si ripeteva con una frequenza sempre più allarmante. In quei momenti, ciascuno dei due era solo al mondo, era vittima, incompreso, triste, intollerante crudele carnefice. In quei momenti la complicità era dimenticata, l'allegria sepolta, e le ragioni della convivenza diventavano oscure. Lei uscì di casa senza dire dove andava né quando sarebbe tornata. Lui non glielo chiese. Era convinto che non l'avrebbe più rivista, anche se ciò era improbabile.
In questo modo, credendola perduta, cominciò a provare nostalgia di lei, e il livore piano piano si dissolse, sostituito dal ricordo dei suoi lati più belli, di tutte le cose che era certo gli sarebbero mancate. Credendola perduta, piangendola come fosse morta, ritrovò la tenerezza e poté finalmente, per un momento, abbandonare le sue difese pesanti come armature. Mentre gli occhi si inumidivano, si sentì solo e generoso, e provò una sensazione di pace.

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