mercoledì 23 settembre 2009

Quello che so

Diciannovesima puntata

45.
“La verità è che Francesco M. era uscito di melone, Dottor Moiano. Oppure vogliamo dirla in un altro modo, un po’ più soft? Recentemente aveva avuto una specie di crisi mistica. Il risultato non cambia. Diceva cose strane, a volte raccontava dei sogni che faceva (incubi, più che altro) blaterava che forse era ancora in tempo per rimediare. E rimediare a cosa, esattamente?
Ma soprattutto, pensi che coglione, si era messo in testa di dire la verità, capisce? E che la sua verità avrebbe scatenato un casino senza precedenti. Armageddon. L’Apocalisse. Sentiva di avere questo grande peso dentro, di cui si doveva liberare. Come se a qualcuno gliene fregasse qualcosa, della sua verità, e della verità in generale. E quale può essere la verità scottante sul mondo della pubblicità, poi? Che siamo tutti dei bastardi assetati di una patetica ridicola briciola di potere? Che il più pulito c’ha la rogna? Che tutti, nessuno escluso, passeremmo volentieri sul cadavere di nostra madre con dei tacchi a spillo, pur di avere un fringe benefit in più, un titolo in più, un aumento di stipendio anche ridicolo? E sai che novità.
Ho paura che questo scoop non avrebbe molta possibilità di arrivare in prima pagina, oggi come oggi. Al massimo la pagina dei necrologi. Oggi fa più scandalo la buona educazione e il rispetto per gli altri, temo.”
“Se ha terminato con la sua sparata cinica, dovrei comunicarle una cosa.”
La donna non era abituata alla versione laconico/brusco/burocratica che Calogero Moiano sfoderava solo in rare occasioni (ad esempio quando ne aveva le palle piene) quindi ebbe un moto di sorpresa.
E’ interessante vedere come le persone, anche quelle più apparentemente toste, si sgonfiano all’istante, se adeguatamente punte. Esitante, rispose:
“Sì, ho finito.”
“Bene, allora mi ascolti attentamente. Io sono stato molto paziente, con lei. Più paziente di quanto io sia di solito. E lei se ne è approfittata. Forse ha pensato che tutto questo fosse un gioco, il prolungamento della sceneggiata che recita tutti i giorni. Le comunico che da questo momento lei è incriminata per concorso in omicidio volontario e falsa testimonianza.”

46.
“Ah, che liberazione!”
Il dott. Moiano lo sapeva benissimo che questo non rappresentava la risoluzione del caso. Ma comunque era sollevato dal fatto che almeno per un po’ quella tizia non l’avrebbe più tormentato. Oramai aveva capito che quello che lui voleva sapere da lei, lei non glielo avrebbe mai detto. Quindi, se non poteva sapere cosa c’era scritto sull’ultima pagina del diario di Francesco M. e chi le aveva chiesto di recuperarla e presumibilmente distruggerla, non era più disposto a sorbirsi ore e ore di chiacchiere autoassolutorie.
La vita è troppo breve per perdere tempo in conversazioni noiose.

47.
Nel fallimento generale, almeno un paio di cose buone questo caso gliele aveva portate. La prima è che aveva finalmente preso la decisione di lasciare la moglie alle sue unghie e ai suoi party di beneficenza. La seconda è che aveva avuto una prova ulteriore del fatto che le apparenze ingannano. Non solo, ma spesso anche l’apparenza dell’apparenza inganna. Ed è difficilissimo andare al fondo di tutte queste apparenze e trovare la verità. Ad esempio: il mondo della pubblicità, quello nel quale era maturato l’omicidio di Francesco M. Un luccichio abbagliante, un mondo lieve e felice pieno di soldi, fascino e belle fighe, tutto vissuto all’insegna del glamour. Prima apparenza, quella più superficiale, che viene via con appena un po’ d’acqua (soprattutto quando i tempi non sono esattamente propizi). Appena sotto, si apre un meraviglioso mondo di odi e rancori, violenze e rivalità, nel quale il pescecane più feroce è l’unico che può trionfare. (E il pesce pulitore trovare riparo nel buio della sua ombra.) Seconda apparenza, che assomiglia un poco di più alla verità. Ancora più sotto, nel caso della nostra vittima, una persona che sceglie di nascondersi, con tutte le sue sofferenze e tutte le sue fragilità, dietro un’apparenza squalesca.
Ma per ingannare chi? Per spiazzare chi?
Se stesso o il resto del mondo?

48.
Il dottor Calogero Moiano aveva un suo rituale sacro, dal quale non si era mai distaccato: alla fine di ogni caso, da quando aveva iniziato a lavorare, sia che il caso si concludesse con un successo, sia che restasse insoluto come questo, lui si concedeva una cena nel suo ristorante preferito, uno dei più antichi di Milano.
Aveva più volte riesaminato tutti i dati in suo possesso.
Aveva scorso ancora una volta mentalmente i volti tristi o squallidi o livorosi di tutte le persone che ruotavano intorno a questa storia.
Aveva passato una notte insonne a rivoltarsi sudato nel suo letto quando improvvisamente, come una freccia avvelenata, era stato trafitto dal ricordo di una frase ascoltata settimane prima e mai dimenticata (Forse non c’è un burattinaio. Forse ce ne sono tanti.)
Infine aveva gettato la spugna.
Il diario di Francesco M., Quello che so, era poggiato sul tavolo davanti a lui. Aperto, inutile, e cosparso di molliche di pane. Era stato l’unica cosa che ad un certo punto aveva acceso la sua speranza, ma anche questa speranza era rimasta delusa.
Moiano era assolutamente certo che tutto il diario di Francesco M. fosse stato concepito in funzione di quella ultima pagina, in assenza della quale il titolo stesso, Quello che so, assumeva un tono di sinistra ironia.
Che cosa sai, amico mio? Che cosa sapevi? Scusa se ti chiamo così, ma mi sembra di conoscerti talmente bene che un po’ mi sento come se fossimo diventati vecchi amici. Io sì, che attraverso il tuo diario senza fine ho saputo tante cose su di te. L’unica cosa che non sono riuscito a sapere è proprio quella che volevi rivelarmi, amico mio. La più importante. Almeno dal punto di vista, diciamo così, professionale.
Per una volta il goloso dott. Moiano aveva deciso di rinunciare alla creme broulée, così assaporò l’ultimo sorso di Cognac, si alzò e si diresse verso l’uscita.

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